Intervista a
Alicia Hansen
—————-
di Beppe Colli
May 3, 2011
Apparso in un periodo in cui le belle sorprese scarseggiano,
l’album di esordio di Alicia Hansen non poteva non stupirci. Ma va immediatamente
precisato che Fractography è album che ci avrebbe piacevolmente colpito in
un qualsiasi momento del passato. Chi vorrà potrà trovare la nostra opinione
argomentata per esteso in sede di recensione. Qui basterà dire di un altissimo
livello compositivo; di una voce personale, versatile e accattivante; e di
una cura certosina negli arrangiamenti e nei suoni, che risultano perfettamente
in sintonia con le voci e le melodie della Hansen. Invenzioni che sarebbero
degne di nota in un album dal budget enormemente superiore e alle quali non
sono certamente estranei Aaron Joyce, che ha curato la produzione e gli arrangiamenti,
e Jesse Gander, cui è da ascrivere la parte tecnica.
Va da sé che ascoltare un album tanto riuscito e maturo ma
che è anche un’opera prima non è cosa di tutti i giorni. Abbiamo quindi contattato
Alicia Hansen chiedendole un’intervista. La Hansen ha gentilmente accettato,
e la conversazione ha avuto luogo tramite e-mail nel corso delle due settimane
appena trascorse.
E come il lettore avrà modo di vedere tra un istante, la
curiosità da noi provata in merito a un piccolo mistero dell’album ci ha
praticamente imposto di iniziare la conversazione nel modo seguente.
Credo che iniziare la nostra
conversazione parlando della storia della tua vita e del tuo retroterra
artistico sarebbe stata la scelta più appropriata, ma devo confessare di
essere molto curioso di conoscere la ragione per cui tutte quelle (ottime)
tastiere che appaiono sul tuo album non sono state indicate nelle note
di copertina del CD… Chi le ha suonate? Vuoi dirmi cosa sono? (Nella
recensione ho provato a indovinare, ma ovviamente potrei avere sbagliato.)
Beh, temo di non avere una buona
giustificazione. Tutto è stato fatto con una certa fretta, e anche se forse
non ci crederai non mi è venuto in mente di fornire il dettaglio di tutte
le tastiere che ho usato. Mi ritengo una pianista, non una tastierista, e
così – con così poco tempo a disposizione, e con lo spazio limitato che ti
offre la copertina di un CD – ho indicato solo gli accreditamenti ridotti
all’osso. Però devo ammettere di essermene pentita amaramente. Le tastiere
che appaiono sull’album (tutte suonate da me) sono: piano a coda Yamaha C2,
harmonium, piano elettrico Wurlitzer A200, campionamenti di auto-harp sottoposto
a trattamento con e-bow e campionamenti di "auto-harp elettronico" realizzati
partendo da un pianoforte (entrambi creati in studio), il sintetizzatore
software della Digidesign chiamato Vacuum e un clavicembalo a tastiera singola,
replica di un Flemish, di proprietà della Early Music Vancouver.
Ovviamente vorrei sapere come
hai scelto i musicisti che appaiono sul tuo album.
Aaron e io avevamo in mente un
suono preciso, quindi volevamo dei musicisti d’avanguardia che sapessero
improvvisare e che fossero in grado di dare alla musica energia e autorevolezza
ma anche un senso di delicatezza. Skye, Tommy, Peggy e Ron hanno tutti un
suono molto sofisticato e originale, ma sono anche musicisti incredibili
quando si tratta di suonare in gruppo. Prima d’ora non avevo lavorato con
nessuno di loro, ma per tanti anni li avevo visti suonare in città. Aaron
ha spinto perché partissimo avendo un gruppo ideale. Con mia grande sorpresa
sono stati tutti disponibili, quindi tutt’a un tratto mi sono trovata attorniata
da questi virtuosi. In un certo senso mi sono sentita un po’ intimidita.
Vorrei che mi parlassi del
contributo specifico che Aaron Joyce e Jesse Gander hanno dato al lavoro.
Parlando di Joyce, ritengo che la sua produzione e il suo lavoro di arrangiamento
siano stati strettamente connessi… Parlamene.
Sia Aaron che Jesse hanno molto
merito per quanto riguarda il suono di quest’album. Però per spiegarti meglio
ho bisogno di tornare un po’ indietro.
Aaron e io ci conoscevamo, ma
io lo conoscevo solo come grande compositore e grande esecutore, non come
produttore. Nel settembre del 2009 è capitato che lui fosse a un concerto
in cui suonavo io, ed è stato così che abbiamo parlato del fatto che intendevo
registrare un album. Gli ho detto
"Credo proprio che mi servirà un produttore", e lui ha detto
"Beh, io sono un produttore". Tutto qui. Sentivo che saremmo stati
in sintonia. Mi ha detto di presentare una domanda al Canada Council per
una borsa finalizzata alla registrazione. Avevo grosso modo una settimana
di tempo prima che scadesse il termine del primo ottobre (quella è stata
anche l’ultima volta che è stata assegnata una borsa destinata alla categoria
Specialized Recording) e ho fatto appena in tempo a presentare la domanda.
Quando sono stati resi noti i risultati, a gennaio, stavo davvero male, in
senso fisico e mentale, e avevo completamente scartato la possibilità di
fare un album. All’improvviso mi sono ritrovata con questo finanziamento
che non mi aspettavo affatto di ricevere, e anche con una scadenza, e neppure
la benché minima idea di come ci sarei riuscita. Ho chiamato Aaron e gli
ho detto che eravamo in ballo, e per i cinque mesi successivi mi ha guidato
nel processo di preparazione alla registrazione. Ci siamo incontrati con
regolarità, abbiamo scelto quelli che ritenevamo fossero i brani migliori
tra quelli che avevo composto nel corso degli ultimi cinque anni e abbiamo
fissato gli obiettivi principali. Per me è stato molto difficile condividere
con qualcuno il peso del lavoro, dato che pensavo che avrei dovuto fare tutto
io, altrimenti non sarebbe stata una cosa che contava come mia, se è chiaro
quel che intendo dire. Ma Aaron e io abbiamo avuto una grossa intesa musicale,
e ho cominciato a vedere che sapeva esattamente quello che cercavo di ottenere
con la mia musica; sono arrivata ad avere completa fiducia in lui. Ci incontravamo
ogni due settimane – io gli mostravo delle revisioni, lui mi faceva vedere
delle idee per degli arrangiamenti, e parlavamo a lungo del suono che intendevamo
creare. Abbiamo coinvolto Jesse fin dall’inizio, per vedere se le idee di
produzione di Aaron fossero realizzabili. (Ti faccio un esempio: il "pianoforte
auto-harp" che appare in Clear Enough. Abbiamo dovuto fare una lista
dei sessantatre tipi di accordo che appaiono su Clear Enough, poi campionarli
tutti uno per uno tenendo premuti i tasti del pianoforte per ciascun accordo
e suonando le corde del piano. Utilizzando questi campionamenti Aaron e Jesse
hanno costruito uno strumento midi, che è quello che ho suonato nella registrazione.)
E quindi è così, la produzione e gli arrangiamenti sono connessi in modo
molto stretto, e io ho rivisto e messo a punto le mie composizioni finché
non siamo andati in studio.
Sarei anche curioso di conosce
qualcosa a proposito dello studio dove hai registrato l’album, e dell’apporto
tecnico di Gander. (Mi immagino lo studio come un posto con Pro Tools e
degli ottimi microfoni…)
E’ proprio così. Jesse è co-proprietario
dello studio chiamato The Hive Creative Labs a Burnaby, nella British Columbia,
che se parliamo di registrazione è davvero il luogo più importante della
scena indipendente di Vancouver. E’ un posto dall’aspetto invitante e di
non molte pretese, pieno di talento e con un sacco di belle apparecchiature.
Chi ha lavorato con Jesse sa bene che è un genio folle. E’ difficile descrivere
il suo apporto tecnico, dato che al tempo della registrazione tutto mi è
apparso una stregoneria. Lui e Aaron avevano già lavorato insieme su un sacco
di cose, quindi avevamo tutti e due una fiducia completa nelle sue capacità
tecniche e anche nelle sue orecchie… il che ha implicato che ogni divergenza
di opinioni esistente tra noi due venisse risolta affidandosi a Jesse.
Ora vorrei che mi parlassi
di te partendo dall’inizio… Cominciamo dal come e perché ti sei innamorata
della musica.
Non ricordo di essermi mai innamorata
della musica, dato che non ricordo di essere mai stata non innamorata
della musica. Ho iniziato con Orff/Kodaly quando avevo tre o quattro anni,
lezioni di piano quando ne avevo cinque, coro quando ne avevo sette, lezioni
di voce a partire dai dodici anni. Tutti gli eventi significativi della mia
vita hanno avuto a che fare o con la musica o con gli spazi intorno alle
mie attività musicali. Mia mamma da giovane era un’eccellente clarinettista,
e mia zia e mio nonno erano molto versati nella musica, quindi ho ricevuto
molti incoraggiamenti. Ma essenzialmente era la mia ossessione privata. Essere
sola al pianoforte è sempre stata la condizione ideale della mia esistenza.
Questo CD è l’unica cosa che
conosco di te, ma è ovvio che il tuo è un lavoro maturo e frutto di molte
esperienze, quindi per me è facile capire che ci dev’essere molto che non
conosco. Vuoi dirmi qualcosa?
Il mio retroterra va decisamente
in direzione della musica classica: ho passato l’infanzia superando gli ostacoli
al Royal Conservatory di Toronto finché non ho conseguito il mio ARCT (Associate
of the Royal Conservatory of Toronto) in pianoforte all’età di sedici anni
e di canto quando ne avevo venti; ho trascorso un periodo all’UBC per un
diploma in voce classica (finché un certo senso di disillusione non mi ha
fatto andar via); ho studiato canto per anni con un’insegnante d’opera russa;
ho cantato per cinque stagioni con un coro professionista itinerante; ho
insegnato piano e canto; ho accompagnato solisti e cori; ho preso lezioni
di composizione. Quindi ho amato (e amo ancora) la musica classica. Ma rinchiusa
nei suoi confini mi sono trovata a provare un crescente senso di frustrazione,
dato che non potevo sedermi e improvvisare – tutto doveva essere appreso
dalla pagina. A ventidue anni ho deciso di prendere lezioni di piano jazz,
e ho ricominciato da capo. Ha cambiato completamente il modo in cui mi accosto
al piano, e non molto tempo dopo ho iniziato a scrivere. Poi sono andata
al Vancouver Community College per avere un titolo in piano jazz, e durante
quegli anni ho cominciato a darmi da fare e in un certo senso a rovinare
la mia voce, a cercare di trovare un suono che fosse mio. Non mi sono mai
sentita una musicista di jazz – suonare standard non era una cosa che mi
entusiasmava – ma mi sono innamorata del linguaggio armonico del jazz. Così
ho focalizzato tutta la mia energia nello scrivere canzoni –
è una cosa che mi ha quasi posseduto. E’ la cosa in cui mi sono sentita più
compiutamente realizzata, una cosa che comprende tutte le parti di me – scrivere
musica, suonare, cantare e scrivere versi.
Ci viene costantemente e dolorosamente
ricordato che
"musica difficile" equivale a "niente soldi". Come sei
riuscita a finanziare il tuo album? Hai qualche speranza di recuperare quanto
hai speso?
Come ti ho detto, è stata quella
borsa del Canada Council a rendere l’album possibile. (Anche se poi ho dovuto
lo stesso vendere la macchina per coprire tutti i costi.) Non mi aspetto
di recuperare, almeno non adesso. Sono davvero fortunata: ho un ottimo lavoro
part-time (come Production Manager per la Early Music Vancouver) e poche
spese. Così accetto il fatto che la musica è quello per cui spendo i miei
soldi. E so che un giorno "it will all come out in the wash", come
diceva mia mamma… tutto andrà per il meglio.
I tuoi testi hanno un bel suono
ma sembrano anche avere un certo spessore… Come vedi la relazione tra "senso" e
"suono" nei testi delle canzoni?
I testi sono
molto importanti per me, dato che amo moltissimo il linguaggio. Scrivo molta
poesia e testi, e l’ho sempre fatto. Ritengo che gli anni che ho dedicato
al canto classico mi abbiano reso cosciente del fatto che le vocali e le
consonanti che canto sono altrettanto importanti del significato che c’è
dietro di loro. Le parole hanno molto potere sonoro e possono davvero aggiungere
o sottrarre al suono della voce umana. Sono stata respinta da molta musica
a causa dei testi, e attirata da molta musica grazie a dei bei testi. Quindi
è una cosa di cui sono estremamente consapevole. Puoi prendere una parola
e la lista dei suoi sinonimi e ognuno di essi avrà una sfumatura completamente
diversa – sfumature sottilmente diverse e che sono difficili da articolare.
E’ una cosa che somiglia molto all’usare formulazioni diverse dello stesso
accordo. E’ questo il modo in cui misceli la tavolozza in qualità di autore
di canzoni, per usare una metafora alquanto ovvia.
Ci sono autori di canzoni che
ritieni costituiscano per tutti un "esempio da superare"?
Phew… Beh, non posso certo parlare
per tutti – non saprei da dove cominciare. Posso parlare di quelli che hanno
maggiormente colpito me… cominciando da compositori di canzoni come Schubert,
Schumann, Grieg, e Brahms, Debussy, Billy Strayhorn, ed Ellington. Ho tratto
molta ispirazione da Björk, Joanna Newsom, PJ Harvey, Jeff Buckley, Kaki
King e Thom Yorke: tutti autori che hanno tracciato il proprio sentiero uscendo
fuori dalle convenzioni ed evadendo dai generi.
E se parliamo di compositori
che hanno lavorato al di fuori della forma canzone?
Ascolto molti compositori classici
del ventesimo secolo come Prokofiev, Stravinsky, Ravel, Rachmaninoff; jazz
nel senso di Keith Jarrett, Brad Mehldau, i Bad Plus, Avishai Cohen e lo
scomparso Esbjorn Svensson; e gruppi d’avanguardia di "genere misto" quali
Fond of Tigers, Tin Hat, Inhabitants, Sigur Ros. Ma ho l’impressione che
questa lista non sia sufficientemente esaustiva – cerco di ascoltare quante
più cose diverse è possibile, quindi dovrei citare anche molta musica strumentale,
musica indie, colonne sonore e world music.
Parlami dei tuoi progetti futuri.
La prima cosa è un tour di alcune
settimane a Toronto, Londra, Windsor, Ottawa e Montreal con la versione in
trio del mio gruppo (Shanto Bhattacharya al basso e Skye Brooks alla batteria).
So che devo dedicare molta energia a promuovere l’album e a portarlo in tour
per un anno intero o giù di lì. Ma vorrei davvero registrare il mio prossimo
album al più presto, dato che ho un sacco di canzoni già composte che mi
piacerebbe mettere fuori. Ci sono in vista anche delle possibili collaborazioni
per il cinema e il teatro. C’è molto da fare, e cerco di non mettere troppa
carne al fuoco.
C’è qualcosa che vorresti aggiungere?
Solo un sentito "grazie".
© Beppe Colli 2011
CloudsandClocks.net | May 3, 2011