Intervista
ai
Gorge
Trio (1999)
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di Beppe
Colli
Feb.
17, 2003
"Innovazione"
e "innovativo" sono parole di uso estremamente diffuso sulla
stampa musicale, massimamente quella che si occupa di rock. Molto spesso,
purtroppo, decisamente a sproposito. Nel marasma di gruppi rock "innovativi"
provenienti dagli Stati Uniti il Gorge Trio ci è parso, qualche
anno fa, uno dei più promettenti. Tre giovani musicisti che –
visti in azione quali tre quarti dei Colossamite, gruppo cui fornivano
gli spunti decisamente più interessanti – avevano esordito in
proprio con l’album Dead Chicken Fear No Knife. Una chiacchierata informale
il giorno successivo al concerto dei Colossamite ce li aveva rivelati
persone simpatiche, perfettamente coscienti dei propri limiti e del
lungo cammino ancora da fare. Se i giovani chitarristi Ed Rodriguez
e John Dieterich erano decisamente nella media di quello che ci giunge
da quelle sponde, l’elemento che maggiormente impressionava era l’ancor
più giovane batterista Chad Popple, più vicino per secchezza
e agilità all’approccio cutleriano che ai cobhamismi di un Damon
Che (sicuramente un buon segno); tra l’altro Popple ci aveva riferito
con toni entusiastici di un festival con artisti della Free Music Production
tenutosi in quel di Chicago, con ciò meritandosi in regalo una
C90 con brani degli Henry Cow e dei Camberwell Now. Il lavoro successivo
dei Gorge Trio, For Loss Of (al momento in cui scriviamo è ancora
l’ultimo album del gruppo), ci era sembrato disco abbastanza insolito,
e quindi meritevole di approfondimento nella forma di una chiacchierata
via e-mail. In quell’occasione abbiamo inviato le stesse domande a Ed
Rodriguez e John Dieterich, Chad Popple (stabilitosi in Germania) risultando
disperso in
Spagna. L’intervista è stata pubblicata in italiano su Blow Up
# 18, Novembre 1999.
Non
occorre un grande sforzo di fantasia per immaginare che il vostro nuovo
lavoro, For Loss Of, sorprenderà non pochi tra coloro i quali
hanno ascoltato il vostro album precedente, Dead Chicken Fear No Knife,
già a partire dal fatto che lo abbiate inciso usando una strumentazione
più ampia – e con la partecipazione di Milo Fine: un nome che
credo non dirà granché ai più; devo confessare
che nonostante lo avessi ascoltato su alcune cose fatte con i Borbetomagus
e con John McPhee – molto tempo fa – ne avevo del tutto perso le tracce.
Volete parlare di lui, e del lavoro che avete realizzato insieme?
Ed: Sento
di ricevere qualcosa da lui ogniqualvolta siamo insieme, e non credo
che potrei dire la stessa cosa a proposito di nessun altro. Perfino
tenendo conto delle nostre differenze trovo delle verità – mi
ha aiutato a mettermi meglio in correlazione con me stesso, per ciò
che riguarda la mia musica e la mia vita. E’ anche uno dei musicisti
più originali e stupefacenti con cui io abbia suonato.
John: Milo
Fine è uno dei musicisti più incredibili con cui io sia
mai venuto a contatto. Ha avuto un profondo impatto sul modo in cui
vedo la musica e sul mio approccio ad essa. E’ stato una grossa influenza
per ciò che riguarda l’uso del silenzio quale componente attiva
dell’improvvisazione. Il nostro primo disco è stato il diretto
risultato del suonare nei Colossamite e dello sviluppare insieme questa
musica molto strutturata, ad alto volume, estremamente cinetica. Quando
iniziò l’esperienza dei Colossamite il Gorge Trio essenzialmente
finì – e per un po’ fummo contenti della nuova situazione. Ad
un certo punto, però, decidemmo che valesse la pena di riprovare
il formato in trio, per vedere cosa le nuove esperienze avrebbero prodotto
in termini di sviluppo compositivo. Stavo scrivendo delle cose "graziose"
e lente che pensavo non si accordassero molto con la direzione presa
dai Colossamite, e credo che il suono di Dead Chicken sia direttamente
correlato a questo fatto: cercammo deliberatamente di esplorare aree
che non stavamo esplorando con i Colossamite. Al momento in cui Dead
Chicken fu pubblicato il Gorge Trio suonava quasi esclusivamente musica
improvvisata (difatti abbiamo suonato dal vivo le canzoni di Dead Chicken
una volta sola): stavamo esplorando approcci diversi per ogni concerto
che facevamo. Ed aveva cominciato a usare i suoi strumenti autocostruiti
(principalmente la sawed-off guitar e la kringle-harp), Chad le sue
tablas e altre percussioni, e anch’io sperimentavo nuovi set-up (electronics,
pedal steel guitar e così via).
Cosa
sono la "sawed-off guitar" e la "kringle-harp"?
Ed: La
sawed-off guitar è uno strumento che ho costruito prendendo un
manico di chitarra e posizionandolo sulla parte anteriore del corpo,
segando la parte posteriore per avere accesso al manico. E’ più
manico che corpo, con sette corde a scalatura ridotta che si incrociano
l’una sull’altra per dare un suono simile a un modulatore ad anello
(il ring modulator è un modulo con due ingressi e due uscite
– una consiste della somma aritmetica delle frequenze in ingresso, l’altra
della loro differenza; n.d.i.). La kringle-harp è un’altra cosa
autocostruita. Mi piace molto il suono delle corde "aperte"
suonate con l’archetto, così ho costruito questa scatola aperta,
con delle corde per basso che si incrociano dentro di essa. La suono
con un archetto per mano. Ogni corda ha un pick-up, e in qualunque momento
posso suonare una sola corda o toccare fino a tre superfici per volta.
E’ il suono basso e ripetuto che senti alla fine del disco. E’ un bello
strumento di tessitura timbrica.
L’album
è timbricamente molto ricco – a volte parecchio stratificato
– ma mantiene delle caratteristiche di "suonato in tempo reale"
che lo collegano istantaneamente alla musica rock e all’impro/jazz;
quali sono stati i vostri punti di riferimento nel registrarlo? E cosa
vi ha fatto decidere per una sola, lunga traccia (ancorché indicizzata)
invece degli episodi più compatti – che sospetto maggiormente
abbordabili per l’ascoltatore – del vostro primo CD? A volte non è
facile individuare l’origine dei suoni – non so se questa sia stata
un’intenzione deliberata o il risultato della vostra ricerca timbrica
– e le chitarre sono usate maggiormente come tessitura rispetto all’uso
più comune nel rock, direi talvolta vicine a uno degli usi che
ne fa Fred Frith.
Ed: Credo
che nell’improvvisazione, non appena accogli il suono per quel che è,
puoi entrare in contatto con le possibilità che la musica ti
ha sempre offerto – ma che puoi non avere notato a causa del tuo precedente
atteggiamento nei confronti di essa. Molto sfugge alle nostre prime
reazioni e alle nostre forme di interazione derivanti dall’abitudine.
John: Il
gruppo ha cominciato a muoversi nella direzione dell’esplorazione di
nuove possibilità sonore e dell’espandersi della strumentazione.
Ed aveva questi nuovi strumenti che stava costruendo, e tutti noi stavamo
modificando quello che avevamo già. Quella di un feel
"in tempo reale" è stata da parte nostra una scelta
cosciente. Ho cominciato a esaminare il materiale registrato che avevamo,
a rimissarlo e a ricostruirlo (quasi tutto il materiale è stato
registrato in un solo giorno nell’ottobre ’98). Non era mia intenzione
alterare il feeling prodotto dal materiale (la materia prima del disco
è stata completamente improvvisata). Mentre il processo proseguiva
Ed mi ha molto incoraggiato a correre dei rischi e a provare alcune
idee elettroniche alle quali stavo lavorando, molte delle quali sono
poi finite sul disco. Tutti i suoni processati sono basati, in un modo
o nell’altro, sul materiale improvvisato di partenza. Parlando di "una
lunga traccia", il fatto è che divenne più interessante,
quando assemblammo il materiale, instaurare relazioni più complesse
tra le sezioni, cose che non sarebbero mai potute accadere "in
tempo reale", e presentarle come un tutto, piuttosto che come un
insieme di sezioni disparate. L’ultima fase della registrazione fu quella
di dare i nastri a Milo, che ci propose di improvvisare le sue parti
in tempo reale senza ascoltare ciò su cui improvvisava – ed è
proprio ciò che fece (aveva ascoltato il materiale solo una volta
la settimana prima di incidere). Il contributo di Milo ha aggiunto un
ulteriore strato di immediatezza e ha dato alla musica una profondità
che prima non possedeva.
La recente
pubblicazione del cofanetto dedicato a Captain Beefheart ci ha ricordato
quanto il rock di Trout Mask Replica potesse essere innovativo; come
vedete oggi lo stato del rock per ciò che riguarda lo sperimentare
con la forma?
Ed: Vedo
accadere delle belle cose nella musica rock. Anche grazie al fatto che
comprendo le molteplici funzioni e forme della musica. Se guardi verso
il mainstream non farai altro che impazzire, dato che tutti sappiamo
che non è la nostra musica.
L’attimo che qualcuno ha capito che ci poteva fare dei soldi, quello
è l’attimo in cui non è più stata nostra. Se guardiamo
alle cose con cui sentiamo di avere un’affinità abbiamo una maggiore
possibilità di rimanere ottimisti e non scoraggiarci, che è
ciò che è importante. Penso a gente come Storm & Stress
e gli U.S. Maple, chiunque abbia uno spirito avventuroso. Che è
quello che mi mantiene entusiasta.
John: Per
me la più interessante sperimentazione per ciò che riguarda
la forma viene spesso dal mondo del rock, il che per me ha un senso
– dato che nel contesto rock hai di solito un gruppo di persone che
si mettono insieme e lavorano insieme in vista di un risultato. Questo
tipo di processo sembra prestarsi bene allo sviluppo di un linguaggio
originale e così via. I problemi arrivano quando il linguaggio
è ormai codificato e il processo di crescita si arresta. Proprio
di recente ho visto un gruppo eccellente, chiamato Deerhoof, che mi
ha ricordato quello che è possibile fare nella musica rock.
Credo
di capire quel che vuoi dire, ma che mi dici degli improvvisatori e
dei jazzisti? Non sviluppano un "linguaggio originale"?
John: Sì,
anche gli improvvisatori sviluppano dei linguaggi originali, ma per
me la differenza è che gli improvvisatori cercano costantemente
di scomporre questi linguaggi e cercarne altri (o almeno dovrebbero,
a mio parere). Non voglio certo dire che ci siano divisioni nette e
codificate tra questi ambiti, perché non credo ne esistano. Considero
il Gorge Trio un gruppo di improvvisatori che hanno anche un forte interesse
per il rock, e credo che ciò sia per noi molto formativo.
Cosa
state ascoltando al momento?
Ed: Quasi
nulla – cosa che per me è abbastanza normale.
John: Il
nuovo degli U.S. Maple, Hotel Paral.lel di Christian Fennecz, cose elettroacustiche
di Xenakis degli anni ’70…
Cosa?
John: un
album chiamato Electroacoustic Works.
Quando ho visto i Colossamite dal vivo il vostro lavoro mi è
piaciuto – anche se il posto era l’esatta incarnazione dell’opposto
delle condizioni necessarie ad un ascolto attento, e nonostante quel
"torneo di testate" a fine concerto… Prevedete di fare un
tour come Gorge Trio?
John: Speriamo
a metà dell’anno prossimo – ci stiamo organizzando.
C’è
qualcosa che volete aggiungere per ciò che riguarda occupazioni
correnti, progetti ecc.?
Ed: Un
nuovo disco degli Iceburn, dove suono la batteria, è pronto,
ed esce a Novembre. E’ un doppio trio (sax, chitarra, batteria). Ci
sono progetti per fare un tour a breve e venire in Europa il prossimo
anno. Sto anche suonando con Nick Sakes (Colossamite/Dazzling Killmen)
in una band chiamata Sicbay, che registrerà presto. Sto lavorando
anche con un mio gruppo (nel quale suono la chitarra) che, al momento,
si chiama Glitterati. Lo trovo stimolante, e promettente.
John: Adesso
vivo ad Oakland, in California, e sto studiando musica elettronica al
Mills College. Sto anche suonando in un performance ensemble del Mills
che è diretto da Fred Frith. Sto lavorando a un disco di musica
elettronica (provvisoriamente chiamato Lucky Florist) per il quale ho
tutti i pezzi finiti, ma che non è ancora pronto. Finalmente,
tra un paio di mesi, vedrà la luce una mia collaborazione con
Ed Chang, David Forlano (New York) e Sean O’Donnell (Philadelphia) chiamata
Ring Steppers, e sto lavorando a delle altre cose, ma non sono ancora
certo di cosa accadrà.
© Beppe Colli 1999 – 2003
CloudsandClocks.net | Feb. 17, 2003