Lisa Germano
Cappella
Bonajuto, Catania
May 3,
2007
Come
siamo certi di aver scritto altrove, troviamo sempre strano il fatto che
artisti come Syd Barrett e Nick Drake vengano tanto celebrati (e giustamente,
mettiamolo subito in chiaro) fino a diventare oggetto di vuoto sensazionalismo
(ma essendo "morti e pazzi" tutto questo è forse da considerarsi
come parte inevitabile del quadro) mentre gli album di Lisa Germano languono
in (relativa) oscurità. E strano soprattutto perché i difetti che più di
sovente le vengono rimproverati, dall’eccesso di depressione alla mancanza
di varietà, altrove si tramutano in pregi. Da parte nostra diremmo che,
fermo restando una riconoscibilissima cifra stilistica di fondo, i suoi
album hanno chiaramente dimostrato un processo di crescita – e quando qualcuno
riesce a venir fuori con l’identità intatta perfino su un album prodotto
da Tchad Blake, beh, dal punto di vista della personalità non è certamente
cosa da poco.
Così
non appena veniamo a sapere di un suo concerto in città acquistiamo immediatamente
il biglietto. Viene fuori che il concerto avrà luogo nella Cappella Bonajuto:
una vecchia cappella situata sotto il livello stradale rimasta miracolosamente
intatta perfino dopo il disastroso terremoto del… (questa è una cosa
alla quale cerchiamo di non pensare troppo). Dato che la cappella in questione
è in grado di ospitare all’incirca solo cento persone, il promoter fa la
cosa giusta e aggiunge un secondo concerto da effettuarsi la sera stessa
(tutti e due sono immediatamente sold-out, e così ci chiediamo se in un
locale più grande…). Ci attende un trattamento di lusso, con poltroncine
ricoperte di velluto e un impianto di amplificazione che funziona, a farci
dimenticare l’acustica davvero strana della Cappella e la sua estrema umidità.
Prima
del concerto incontriamo – e abbiamo modo di fare quattro chiacchiere con
– un cordiale americano che si rivela essere un componente dei Trumans
Water. Pensiamo erroneamente che faccia parte del gruppo che accompagna
Lisa Germano – dopo tutto c’è una Fender Telecaster che aspetta solo di
essere suonata – ma in realtà è qui come tecnico del suono. A concerto
finito, al momento di uscire fuori dalla sala gli facciamo i complimenti
per il lavoro fatto. "Non è stato facile", ci dice, "questo
posto è davvero molto strambo e pieno di rimbalzi; di solito uso qualcosa
sulla sua voce – un po’ di delay – ma qui non era proprio possibile".
Sul palco
vediamo un piano (campionato) della Roland, il modello RD700; la Telecaster
(con più di una traccia di ruggine al ponte); un amplificatore a valvole
per chitarra Fender Twin; un basso a cinque corde della Peavey (che Sebastian Steinberg userà per il concerto), una testata Gallien & Krueger
e una cassa Ampeg con un cono da 15"; c’è poi un impianto della Electro
Voice, piccolo ma funzionale.
Salgono sul palco e si parte. Il concerto ha inizio con Nobody’s
Playing, da Lullaby For Liquid Pig, e ovviamente è un’apertura perfetta:
solenne, austera, in grado di porre la folla (beh, tutti i cento-e-qualcosa)
nel giusto stato d’animo. Stasera il grosso del repertorio viene dagli
album più recenti, con Nobody’s Playing, Paper Doll, Pearls, Dream Glasses
Off e From A Shell da Lullaby For Liquid Pig (2003) e The Day, Too Much
Space, Golden Cities, In The Land Of Fairies, In The Maybe World e Red
Thread da In the Maybe World (2006).
Per gran parte della serata la Germano rimarrà seduta al piano,
con solo qualche canzone – per esempio Small Heads, da Excerpts From A
Love Circus (1996), che qui funge da "momento leggero" – suonata
alla Tele. Ci sono anche Wood Floors e Guillotine, da Slide (1998); due
pezzi – If I Think Of Love e It’s A Rainbow – da Slush (1997), l’album
inciso con i Giant Sand sotto il nome collettivo di OP8; e un "oldie",
The Darkest Night Of All, da Happiness (1994), che viene introdotta da
qualcosa come "ho composto questo pezzo in un periodo in cui… no,
non voglio ricordare".
L’impressione
è davvero buona. Considerata la strana acustica (e la mancanza di effetti)
la voce della Germano viene fuori davvero bene… sembra proprio il disco!
Appare sempre come un’artista intenta a suonare e cantare le proprie canzoni,
non come qualcuno perso da qualche parte (capita a volte che i recensori
– talvolta magari a fin di bene – esagerino un po’ troppo nel colore).
Quelle arie che sembrano un misto di folk, classica e sinistre cantilene
si mostrano molto chiaramente di fronte a noi. Le parti di piano fanno
tutt’uno con le parti vocali, con il basso elettrico in un ruolo di sostegno.
A volte
la tensione diventa davvero incredibile (cosa non facile per una musica
che rende senz’altro al meglio quando ascoltata in solitudine), così difficile
da spezzare che perfino un momento in cui la Germano esegue erroneamente
un passaggio pianistico va via senza lasciare traccia. Ovviamente a volte
la gente non sembra capire che un silenzio carico d’apprezzamento può ben
rivelarsi il miglior feedback possibile per un artista, e così dopo un
applauso scrosciante alla fine di It’s A Rainbow la Germano fa "La
canzone dice
"Alcoholic, alcoholic", cosa c’è da fare "Yeah!!!"?"
con un senso di stupore; e sono cose che capitano anche a causa di barriere
linguistiche. Ma è in uno stato d’animo sereno, e alla fine del concerto
arriverà a chiedersi ad alta voce "Chissà se ho corso un po’, dato che
tra poco devo fare un altro concerto". Ma no, non ha corso.
Beppe
Colli
© Beppe
Colli 2007
CloudsandClocks.net | May
8, 2007