Intervista a
Steve Feigenbaum
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di Beppe Colli
Apr. 21, 2006
Fare
Grandi Affari nel mondo complesso, volatile e incredibilmente mutevole
di oggi è senz’altro difficile. Ma fare Piccoli Affari in quello
stesso mondo non dev’essere certo una passeggiata. Anzi, scommetteremmo
che è tanto difficile da dare un mal di testa al giorno. Ma cosa
comporta esattamente, oggi?
Formulata
la domanda, ci sono venuti in mente: innanzitutto, gli Stati Uniti;
poi, la Cuneiform. Gli USA, perché se prendiamo in considerazione
questo genere di problemi sono senz’altro il paese dove dinamiche cruciali
sono meglio visibili. La Cuneiform perché a nostro avviso etichetta
non tanto marginale da essere invisibile ma non tanto mainstream da
avere automaticamente vita facile.
Il
catalogo della Cuneiform è ricco in diversità, da "UK
Classic Groups" come Soft Machine e Matching Mole alle ristampe
del duo Fred Frith/Henry Kaiser, dal progetto davisiano di Henry Kaiser
e Wadada Leo Smith chiamato Yo Miles! a gruppi europei vecchi e nuovi
come Univers Zero, Von Zamla e Blast, da gruppi statunitensi contemporanei
come Curlew e Doctor Nerve al jazz "Made in UK" di Brotherhood
Of Breath e Mujician a personalità davvero uniche quali R. Stevie
Moore e Gary Windo (e non dimentichiamo Pork
Chop Blue Around The Rind, l’omaggio a Captain Beefheart recentemente
inciso dai Fast ‘N’ Bulbous).
Abbiamo
quindi contattato il boss dell’etichetta, Steve Feigenbaum. E dato che
all’incirca un paio d’anni or sono avevamo letto in Rete alcune interviste
che avevano come nucleo centrale il recente (ventesimo) anniversario
della fondazione della Cuneiform, abbiamo reso esplicito il diverso
intento delle nostre domande. Feigenbaum ha gentilmente acconsentito,
e alcuni giorni dopo ecco pervenire le risposte.
Mi piacerebbe che tu partissi proprio dall’inizio (insomma, quasi):
ti dispiacerebbe descrivere il processo che ti ha condotto a fondare
la Cuneiform Records? Hai iniziato come fan della musica, come musicista,
e poi…
Effettivamente ho davvero iniziato come appassionato di musica (ritengo
che chiunque stia nell’industria musicale fosse un tempo un fan della
musica, anche se il lavoro di essere nell’"industria" strizza
via un po’ di quell’amore…). Ho scoperto il jazz quando ero ancora
molto giovane (15) (John Coltrane, Ornette Coleman, Eric Dolphy e in
special modo Charles Mingus). E quindi ero decisamente pronto quando
ho ascoltato The Mothers Of Invention, la cui musica ha totalmente cambiato
la mia vita. Di lì a poco ho scoperto delle band locali, The
Muffins e Grits, e ho anche scoperto il suono di Canterbury (Soft Machine,
Hatfield and the North). Così… il terreno era pronto.
Suonavo, anche. A quel tempo ritenevo di essere molto serio al riguardo,
ma col senno di poi capisco che mi mancava quella dedizione all’esercizio
che fa davvero uno strumentista (credo anche che mi mancasse il talento,
ma questo è un altro discorso).
Insieme ai Muffins e ad alcuni altri amici fondammo un’etichetta
discografica che pubblicò gli album dei Muffins e anche qualche
altro disco.
A ogni modo, verso la fine degli anni settanta ero interessato alla
musica "strana" e non avevo alcuna vera direzione per il mio
futuro. Ho fondato una piccolissima casa discografica che faceva spedizioni
via posta allo scopo di vendere musica "strana" alla gente
(questo è stato prima che Internet rendesse tutto facilmente
raggiungibile da chiunque!). E’ una cosa che faccio ancora, ma ora è
online: waysidemusic.com.
Dopo quattro anni e un po’ di successo decisi che il "passo
successivo" era quello di fondare un’etichetta per pubblicare un
po’ di quella musica in prima persona e fornire un "contributo"
a quella scena. Ero molto giovane, e non avevo idea di quanto tempo
ci sarebbe voluto per mettere radici; questa è la cosa bella
di essere giovani – guardi una montagna e dici "quella non dovrebbe
essere TANTO difficile da scalare…".
Fondare e mantenere in vita una casa discografica costituisce
in un certo senso un esperimento culturale. Hai mai ritenuto che la
Cuneiform fosse "In Opposition"? E, se sì, in opposizione
a cosa?
No, non sono personalmente interessato a "LA LOTTA" messa
in questi termini. Ritengo che sia un esperimento culturale – sebbene
non ci abbia pensato in questi termini fino a ora – ma ha più
a che fare con il cercare di trovare un punto di equilibrio tra il presentare
musica che io ritengo molto interessante e l’essere in grado di avere
anche dell’altra gente abbastanza interessata a quello che pubblico
da essere disposta a spendere del denaro per sostenerlo. Questa è
la parte del lavoro difficile e in qualche modo triste. E’ triste perché
devo dire di no a un sacco di progetti di valore dato che non credo
che ci sia un mercato per essi (o almeno non ritengo di essere in grado
di raggiungere quel mercato).
Hai mai avuto la sensazione che la musica che ti piace, e che
alle tue orecchie suona "perfettamente normale", venga considerata
"avanguardia" perché il concetto di quello che è
"normale" diventa ogni giorno sempre più unidimensionale
e ristretto? O le cose stanno migliorando?
Le tue domande sono interessanti perché, nonostante mi appaiano
perfettamente sensate, non sono cose a proposito delle quali ho passato
molto tempo a riflettere. Questo è probabilmente dovuto al fatto
che le vendite sono così piccole che non voglio pensarci! Non
so se la musica che ascolto suoni perfettamente normale. Naturalmente
sono in grado di percepire la differenza tra la "musica popolare"
e la musica che pubblichiamo noi. Quello che la Cuneiform pubblica è
"avanguardia"? Un fan della "vera" musica d’avanguardia
potrebbe non crederlo. Così, facciamo quello che facciamo, cerchiamo
di pubblicare cose che possano in qualche modo essere considerate interessanti/eccellenti/divertenti
e che siano anche vendibili. Metto anche molto impegno nel cercare di
smuovere un po’ le acque con quello che pubblichiamo e di non continuare
a pubblicare sempre lo stesso tipo di cose (sebbene i nostri critici
possano non essere d’accordo!).
Mi piacerebbe che tu descrivessi il tuo rapporto con la stampa
e i distributori nel corso degli anni ottanta – ricordo di aver visto
i tuoi LP nei vecchi cataloghi del N.M.D.S. – paragonato all’oggi.
Beh, per quanto riguarda la stampa ora è molto meglio, in
parte perché è da molto tempo che facciamo quel che facciamo,
e anche perché Internet ha aperto più (MOLTE più)
strade per noi, e anche perché ho due brave persone che lavorano
per me il cui lavoro è quello di procurarci dello spazio sulla
stampa.
Per noi va molto meglio anche per ciò che riguarda i distributori.
Adesso riesco a essere pagato per i CD che vendo, cosa che non era vera
negli anni ottanta, neppure nel caso del N.M.D.S….
La prima volta che ho visto i tuoi dischi venduti in un posto
pubblico (ne ho comprati alcuni) è stato al festival M.I.M.I,
a St. Remy, in Francia, nel 1987. Come vedi la differenza tra l’Europa
e gli Stati Uniti se parliamo di festival e concerti sostenuti da denaro
pubblico, donazioni e così via?
C’è una grossa differenza, dato che non c’è quasi NESSUN
sostegno alle arti con fondi pubblici negli USA. Certamente non per
la "musica rock".
E pochissimi fondi per i festival. Qui ogni cosa deve "reggersi
sui propri piedi". Mi piacerebbe che ci fosse un pochino di sostegno
per la arti e la cultura, ma non ce n’è affatto.
Pubblichi cose nuove e anche roba d’epoca, sia riedizioni di registrazioni
storiche che cose che vengono pubblicate per la prima volta. C’è
chi dice che l’attuale disponibilità di così tanti "capolavori
del passato" rende molto difficile per le nuove registrazioni ricevere
spazio e attenzione adeguati sulla stampa. La tua opinione?
Credo che il problema sia che la gente vuole ascoltare cose che conosce
già, o cose di artisti che già conosce.
Ci sono moltissime persone che comprano i nostri CD dei Soft Machine
o dei National Health, dato che nel passato questi gruppi erano su etichette
grosse e la gente li ricorda, e c’erano dei budget pubblicitari più
consistenti perché erano su etichette più grandi della
Cuneiform, e quindi loro comprano questi CD, ma non comprano CD di altri
gruppi che probabilmente gradirebbero altrettanto, non lo fanno perché
non li conoscono, o perché non sono così dotati di senso
dell’avventura e per qualche altra ragione.
Almeno, questo è ciò che penso…
E’ stato detto che i tempi di attenzione sempre più brevi
propri di coloro i quali sono abituati ai "linguaggi veloci"
di oggi (intendo, quelli tipici della TV e dei videogiochi) rendono
loro sempre più difficile prestare un’attenzione indivisa a cose
complesse, si tratti di musica, romanzi o film. Qual è la tua
opinione in proposito?
Ritengo che ci sia un sacco di competizione per aggiudicarsi il "tempo
libero" della gente. Ma non ritengo che ciò abbia nulla
a che fare con il "passo veloce" che rende la gente meno interessata
a materiali complessi…
Per parlare della musica possiamo solo usare il linguaggio. A
tuo parere, può il fenomeno chiamato "scarsa alfabetizzazione"
– o, come alcuni preferiscono chiamarlo, "aliteracy", la crescente
tendenza da parte degli alfabetizzati a non usare le abilità
in loro possesso – essere considerato il colpevole se parliamo delle
recensioni e interviste sempre più brevi e superficiali (beh,
almeno questa è la mia impressione) che possiamo vedere in buona
parte della stampa di oggi, o ci sono altre forze in azione?
Non ho idea; ritengo che la gente (almeno negli Stati Uniti) abbia
davvero poco tempo, e che questo possa avere a che fare con ciò
(lavori che prendono sempre più ore, famiglia, bambini, lavoro,
genitori, ecc.).
Ma non lo so.
Problema "scarico facile". Ritieni che questo fenomeno
sia importante per il(i) tipo(i) di musica che pubblichi? E se sì,
più nella direzione di "vendite decrescenti" o di "crescenti
possibilità di essere conosciuti"? E ritieni l’abbondanza
di stimoli di oggi un buono o un cattivo auspicio per il futuro della
musica che ti piace?
La vedo come una lama a doppio taglio. So per certo che oggi siamo
in grado di presentare quello che facciamo a un numero molto più
grande di persone potenzialmente interessate di quanto non sia mai stato
possibile e a un costo molto basso. So anche per certo che c’è
chi ruba le nostre registrazioni.
Se mi chiedi di fare una stima, direi che Internet è stato
più una cosa buona che cattiva, ma devo dire che mi dà
molto fastidio che ci venga presa della roba senza che noi riceviamo
alcun pagamento.
© Beppe Colli 2006
CloudsandClocks.net
| Apr. 21, 2006