Rock Stars Stole My Life!
By Mark Ellen
Coronet
2014, £18.99, pp340
La prima
cosa che ci ha colpito al momento di aprire il volume di Mark Ellen – e qui
dobbiamo confessare che la nostra sorpresa non avrebbe potuto essere maggiore –
è stata la grandezza dei caratteri di stampa: giganteschi (l’edizione in nostro
possesso è quella hardback; per gli amanti della "leggerezza" il
libro è disponibile anche in versione ebook), e a una valutazione "a
occhio" persino più grandi di quelli dell’edizione hardback "large
print" di A Natural Woman – l’autobiografia di Carole King apparsa nel
2012 per i tipi della Grand Central Publishing – da noi già considerati una
vetta difficilmente superabile.
Inevitabile
chiedersi se questo non fosse il modo scelto dal Caso quale il più appropriato
per costringerci a prendere in esame l’eventualità che la distanza tra l’età di
"eterni classici" della King quali Up On The Roof e I Feel The Earth
Move e la vita dei giornali che hanno visto la crescita professionale di Mark
Ellen – testate che, come vedremo più estesamente tra breve, portano i nomi di
New Musical Express, Smash Hits, Q, Select, Mojo e The Word – fosse ormai
ridotta a qualcosa di difficilmente percepibile da un occhio moderno; e che
ambedue le "età" necessitassero ormai dello stesso paio di lenti da
presbite.
Curiosamente,
a lettura ultimata, Rock Stars Stole My Life! ci ha riportato alla mente un
volume apparso non molto tempo fa: un volume al quale il libro di Ellen non
somiglia affatto ma alla luce del quale ci è parso acquistare un senso ancora
più preciso. Ci riferiamo a Cornflakes With John Lennon – And Other Tales Of A
Rock ‘n’ Roll Life, l’autobiografia del critico statunitense Robert Hilburn
edita dalla Rodale nel 2009.
In quel
volume Hilburn – il principale critico "Pop & Rock" di quello che
per decenni è stato il quotidiano di riferimento dell’industria musicale
statunitense, l’L.A. Times – ha inteso ripercorrere i capitoli più importanti
della sua lunghissima carriera. Ecco alcuni degli artisti con i quali Hilburn
ha avuto nel corso del tempo incontri "a distanza ravvicinata" (il
lettore è invitato a fare un bel respiro): Johnny Cash, Janis Joplin, Elvis
Presley, Elton John, Stevie Wonder, Phil Spector, John Lennon & Yoko Ono,
Bob Dylan, Bruce Springsteen, Joe Strummer, Eddie Vedder, Thom Yorke, U2/Bono,
Michael Jackson, Eminem, David Bowie, Madonna, Leonard Cohen, Chuck D, Dr. Dre,
Ice Cube, Kurt Cobain (e si noti che la lista è davvero parziale).
Com’è
evidente sin dal titolo – quanti possono dire di aver fatto colazione con John
Lennon? – il libro è una carrellata di individualità "eroiche" (in
questo diremmo Hilburn critico "americano" in un’accezione
"classica" del termine) viste da un testimone d’eccezione (lo stesso
Hilburn). L’industria, il mercato, il pubblico e gli altri critici sono lì
entità non ignorate, ma date per scontate e messe sullo sfondo.
L’ottica
scelta da Ellen – la diremmo tipicamente "Made In U.K." – per
raccontare quella che è a tutti gli effetti una biografia si muove invece su un
orizzonte "inclusivo". (Ellen è sulla sessantina, e ancora sulla
breccia quale giornalista freelancer; ma come il lettore avrà modo di vedere la
conclusione del volume segna un de profundis per l’industria della stampa
musicale, e forse anche per l’industria della musica.)
Non
mancano ovviamente aneddoti e figure ben note: Meat Loaf, Iggy Pop, Van
Morrison, Frankie Goes To Hollywood, Rod Stewart e – in un capitolo a loro
interamente dedicato che porta il titolo di The Lake District And Ancient Ruins
(sia concessa una parentesi: era da tempo che non ridevamo tanto, anche se il
sapore del racconto è per il narrante incredibilmente amaro) – Jimmy Page e Roy
Harper. Ma la folla dei nomi che scorrono a velocità incredibile nel corso
della narrazione è solo uno dei componenti del racconto, accanto a fan,
giornali, case discografiche, radio e televisioni, il mondo che cambia,
notazioni biografiche e molto altro, sì che il volume si candida a bella
testimonianza di un periodo e di un tragitto, come a ben vedere è rivelato da
un sottotitolo – A Big Bad Love Affair With Music – molto più aderente
dell’enfatico titolo.
Cosa
manca? Un indice! Come farà chi vuole mostrare che davvero il volume cita
gruppi quali Hookfoot, Fat Mattress e Colosseum?
Come già
detto, il libro ripercorre la carriera di Mark Ellen nelle sue diverse tappe:
New Musical Express, Smash Hits, il lavoro radiofonico per Radio One, quello
televisivo per The Old Grey Whistle Test, la conduzione inglese di Live Aid, e
poi i ruoli – di scrittura e dirigenziali – in testate quali Q, Select, Mojo,
The Word. I ringraziamenti che compaiono all’inizio del volume includono
"Annabel Brog, who thinks this book should be called ‘How Mark Ellen Was
Totally Washed Up Till His Career Was Saved By Annabel Brog From Elle Magazine’
– which, to be fair, it was".
Ma com’è
che la carriera di Mark Ellen è stata salvata da Annabel Brog di Elle, e che ci
fa Ellen su un aereo che porta in giro per il mondo Rihanna e un variopinto
circo di varia umanità, come narrano le prime pagine del volume?
L’inizio
vero e proprio vede Ellen in qualità di spettatore a un tipico festival rock.
E’ l’agosto del 1971. Ma la storia ha avuto inizio molto tempo prima, come
mostrato da un tipico percorso che ha per tappe Beatles, Kinks, Stones, Dylan,
Byrds, il Barry McGuire di Eve Of Destruction, Top Of The Pops, Captain
Beefheart, i Chicken Shack e gli Spirit di The Twelve Dreams Of Dr. Sardonicus –
il lettore potrà tracciare un parallelo con lo scenario del film The Boat That
Rocked (titolo italiano: I Love Radio Rock). Ci sono i Soft Machine di Third
colti alla Roundhouse, la decisione di suonare il basso elettrico e un gruppo
dei tempi dell’università, gli Ugly Rumors, che vede al canto il futuro premier
britannico Tony Blair.
Se le
prime prove da giornalista musicale avvengono al Record Mirror, decisivo è
l’approdo al New Musical Express, settimanale che annoverava allora stelle di
prima grandezza quali Charles Shaar Murray, Julie Burchill, Tony Parsons e Nick
Kent, e "nomi nuovi" quali Ian Penman e Paul Morley. E’ la primavera
del ’78. E qui il ritratto dell’atmosfera della redazione del settimanale potrà
sorprendere più di qualcuno.
Ellen non
riesce a integrarsi, e nell’estate del 1980 approda a un settimanale di durata
effimera creato in un momento in cui gli altri settimanali sono in sciopero. E’
a partire dalla descrizione dell’esperienza al New Music News che la narrazione
si fa più viva e coinvolgente, con il ritratto del collega Tom Hibbert –
ricordiamo qui che fu proprio Ellen, pochi anni fa, a stendere il necrologio
apparso sul Guardian – e l’esperienza di un’intervista ai Teardrop Explodes che
indurrà Ellen ad astenersi per sempre dall’assumere droghe.
Sembrerà
bizzarro dire che Mark Ellen diventa adulto nel periodo della sua collaborazione
a Smash Hits (tra le prime interviste: Sheena Easton), quindicinale
"teen" di cui diverrà in seguito direttore. Ma a parere di Ellen
(pag.122) "Pop music was taking over in late ’81". E’ il tempo di
Police, Pretenders, Blondie e della "videomusica", che il giornale
contraddistinto dallo slogan The Party On Paper™ rappresenterà con una tiratura
che arriva a superare il milione di copie. Qui Ellen ha tra i suoi colleghi
Dave Hepworth, che poi lo affiancherà in mille avventure editoriali, e Neil
Tennant, futura stella nei Pet Shop Boys.
Il
lettore potrà seguire il racconto negli episodi che vedono Ellen collaborare
con la BBC – in radio, con la trasmissione Rock On e quale sostituto
occasionale della stella John Peel; e sullo schermo televisivo, con The (Old
Grey) Whistle Test. Segue la co-conduzione dell’evento planetario Live Aid, il
13 luglio del 1985.
C’è un
punto che ci pare importante sottolineare: critico competente e versatile,
Ellen non è un "solista", né uno "stilista" dalla prosa
riconoscibile lontano un miglio; piuttosto, è un "servitore" della
musica, coinvolto a sufficienza da risultare autentico nel suo entusiasmo, ma
non "esclusivo" nella sua somministrazione degli affetti; tutte
qualità che, pur se forse precludono la pubblicazione di un’antologia dei suoi
scritti, lo rendono perfetto per il "gioco di squadra", nonché
perfetto direttore di riviste e perfetto supervisore editoriale.
Ed è
infatti questo il ruolo ricoperto da Ellen in testate che hanno segnato la vita
dell’editoria musicale degli ultimi trent’anni. Dopo Smash Hits, Q (1986),
Select (1991) e Mojo (1993): mensili che vedono rispettivamente la reinvenzione
del "Rock Classico" nel periodo dell’affermarsi del CD, l’apertura
alla "nuova musica", e il ritorno al classico nell’epoca dei cofanetti
onnicomprensivi e della necessità di tenere aperta la possibilità di una
"narrazione", ancorché elastica. (A lato, e coerentemente con questa
impostazione di "qualità su base di massa", c’è anche la reinvenzione
dei Brit Awards.)
A questo
punto tutto salta, con l’avvento di Internet, la possibilità del download
illegale gratuito e quella moltiplicazione delle fonti di informazione che
rende sempre più aleatoria l’esistenza di una "industria della
qualità". (Per dare un’idea, a fronte delle circa 270.000 copie di Q nel
suo periodo d’oro, oggi Q, Mojo e Uncut dovrebbero viaggiare sulle 50.000
copie, con gli altri a situarsi ben al di sotto.)
Qui Mark
Ellen scrive pagine di ovvio interesse, laddove il quadro generale non esclude
errori specifici. Un tragitto la cui fine vede Ellen "messo in
libertà" da quel conglomerato EMAP dov’era supervisore di numerose
testate. E’ il 14 gennaio del 2000.
A questo
punto Ellen e altri compagni d’avventura decidono di dar vita a quello che
crediamo sia stato l’ultimo mensile a tentare la sorte nell’era di Internet:
Word, poi The Word. Ricordiamo perfettamente la sponda offerta dalla stampa
quotidiana a un’avventura che si indovinava precaria e dal futuro incerto, ma
non avremmo mai immaginato le trappole per topi messe qua e là in redazione.
Ricordiamo anche la copertina del #1 della rivista (Nick Cave), il nostro
stupore nel constatare l’assenza dell’immancabile CD, il nostro stupore nel
vedere qualche tempo dopo la comparsa del CD, e una vita difficile che – partenza
nel 2002 – è giunta a sfiorare il decennio. Le tentarono tutte, fino al
Podcast: non è servito.
Gli
ultimi capitoli vedono Ellen, oggi freelancer, sostenere un’audizione per
potere intervistare Lady Gaga e imbarcarsi sull’aereo di cui si diceva allo scopo
di coprire un tour di Rihanna. Emergono particolari che sfiorano il surreale e
che lasciamo all’esplorazione del lettore. Ovvie e prevedibili le
considerazioni del giornalista a proposito dell’enorme differenza nelle
modalità di accesso esistenti tra l’oggi e l’allora.
C’è anche
una bella sequenza di foto.
Cosa
rimane alla fine? Forse uno spirito irragionevolmente fiducioso pur di fronte
alle avversità. Di certo, l’irragionevole speranza che la moderna pigrizia non
renda tutto inutile.
Beppe Colli
© Beppe Colli 2014
CloudsandClocks.net
| May 26, 2014