Intervista
a
Nick
Didkovsky (2007)
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di Beppe
Colli
Apr. 9, 2007
Uses Wrist Grab, il CD pubblicato quattro anni fa sotto
il nome Bone condiviso con Hugh Hopper e John Roulat, è stata l’ultima volta
in cui abbiamo avuto modo di ascoltare Nick Didkovsky prima dei recentemente
pubblicati Swim This – un album dal vivo che presenta
il trio Didkovsky/Hemingway/Lytle – e il solo Tube Mouth Bow String: due
album stimolanti e riusciti (anche se ovviamente di scarso peso commerciale)
che vale la pena investigare a fondo. Abbiamo quindi chiesto a Nick Didkovsky
di fare un’altra intervista.
Lo avevamo già intervistato due volte. Nel 2000 la nostra
conversazione aveva avuto come oggetto principale la storia dei Doctor Nerve,
il gruppo di cui è stato leader, chitarrista e compositore per circa
venticinque anni. Nel 2003 avevamo discusso del trio Bone e del suo work-in-progress
in una varietà di situazioni musicali. (Il lettore è invitato a consultare
i nostri archivi.) Didkovsky è un conversatore estremamente articolato, e
abbiamo sempre apprezzato la sua capacità di esprimere con chiarezza pensieri
molto complessi.
L’intervista che segue è stata condotta via e-mail. Sebbene
Didkovsky fosse estremamente impegnato abbiamo ricevuto le sue risposte il
5 aprile, circa due settimane dopo che gli avevamo spedito le nostre domande.
Solo una (piccola) osservazione: nel testo della domanda
numero quattro, a proposito del suo CD intitolato Tube Mouth Bow String,
abbiamo dimenticato di inserire la parola "omonimo" dopo la parola
"pezzo".
Mi piacerebbe iniziare la nostra conversazione discutendo
del tuo trio con Gerry Hemingway e Michael Lytle. Vuoi parlarmi del modo
in cui la cosa ha avuto inizio, del vostro rapporto musicale in quanto
trio e così via?
Swim This ha avuto inizio per iniziativa di Michael Lytle. Michael suona
il clarinetto basso nei Doctor Nerve ma ha una lunga storia in qualità
di improvvisatore (in duo con George Cartwright, Meltable Snaps It e altro).
A Michael è stato proposto di fare una serata alla Experimental Intermedia
Foundation di Phill Niblock. Ha invitato Gerry Hemingway (alla batteria
ed electronics) e me. Sulle prime abbiamo pensato di organizzare la nostra
performance con un qualche tipo di partitura molto elastica. Ma poi abbiamo
finito per fare due set senza nessuna partitura e senza alcuna discussione
a precedere l’esibizione. Quella prima performance è stata registrata;
ho missato quella registrazione multitraccia e ho prodotto il nostro primo
CD.
Abbiamo suonato di nuovo ieri sera come parte di una serata di gruppi diversi
curata da Kevin Gallagher (Electric Kompany). E di nuovo sono stato colpito
da che combinazione speciale di musicisti sia questa. Sento di poter fare
qualsiasi cosa in qualsiasi momento e l’ensemble risponderà pienamente
con una completa attenzione e la responsabilità che ne consegue. Credo
che gli altri la pensino allo stesso modo. Il commento tipico che ci proviene
dal pubblico e dalla stampa è che alcune parti sembrano composte, che in
particolare le transizioni sembrano preparate o conseguenti a un segnale,
mentre in effetti niente di tutto questo è vero. C’è qualcosa di veramente
speciale nel rapporto tra i componenti di Swim This; un livello di telepatia
assolutamente inatteso al momento in cui ci siamo incontrati per la prima
volta.
Swim This Photo by Dan Cooper
Mi piacerebbe sapere di più a proposito della musica
contenuta sul CD dei Swim This: mi sarebbe davvero piaciuto assistere a
quel concerto, dato che con il solo ascolto del CD non riesco a capire
cosa succede, quali parti vengono suonate dal software e dai nastri pre-registrati
e così via. Parlami di questo.
Ci sono cinque elementi presenti in ciascun set. Oltre ai clarinetti, alla
chitarra tabletop e alla batteria, io ho in funzione un software musicale,
e Michael fa andare delle parti elettroniche preregistrate che fa comparire
e scomparire di tanto in tanto. Non so che cosa abbia suonato, credo sia
del lavoro elettronico degli anni sessanta fatto con un sintetizzatore
analogico. Nel primo set il mio software usa fino a quattro agenti musicali
indipendenti, la densità del cui comportamento io sono in grado di specificare,
cioè a dire, quanto spesso ognuno di essi si sveglia ed emette un suono
e quanto a lungo quel suono dura prima di smettere e di andare nuovamente
a dormire.
Quella densità può essere molto alta, fino a 300 o 400 volte al minuto, o
molto bassa, anche solo una volta al minuto o giù di lì. Fisso questi parametri
e li faccio andare, accendendoli o spegnendoli di tanto in tanto come pure
di tanto in tanto cambio le loro densità di comportamento. Il suono che
emettono usa un circuito di sintesi chiamato un waveshaper. Un waveshaper
è un semplice circuito dove un segnale comanda una tabella di funzione.
Così, per esempio, se il segnale di comando è una rampa lineare che inizia
a -1 e sale fino a 1 nel corso di 10 secondi, e se la tabella contiene,
poniamo, un campione audio della mia voce che conta da 1 a 10, allora sentirai
quella registrazione suonare in avanti, stirata o compressa allo scopo
di riempire dieci secondi. Se inverti quella rampa e la fai cadere da 1
a -1 mi sentirai contare all’indietro. Se invece di usare una rampa lineare
tu comandi la tabella con un’onda sinusoidale simulerai uno scratch di
giradischi: che suona in avanti quando l’onda sinusoidale sale, che rallenta
quando raggiunge la sommità, che suona all’indietro quando l’onda sinusoidale
scende, rallentando nuovamente quando raggiunge la valle, per cambiare
nuovamente direzione e suonare in avanti.
Riempio dieci "secchi" di audio con la chitarra elettrica dal vivo
e poi li uso sia come segnale di comando che come contenuto delle tabelle
fino a quattro waveshaper. Ciascun agente sceglie queste onde in modo indipendente.
Così ciascuno di essi avrà un suono di natura diversa rispetto agli altri.
Questo è l’elemento responsabile dei suoni gorgheggianti e a volte appuntiti
che senti spuntare qua e là.
Mi piace avere questo performer software indipendente che immette i suoi
comportamenti imprevedibili in quello che accade. Nota che all’inizio ho
progettato una versione di questo software per il mio pezzo Scratch composto
per Anne La Berge. Lei mi ha dato un CD di sue performance al flauto. Ho
usato questi file sonori per generare diverse tessiture sulle quali lei
potesse improvvisare. Non suonano affatto come un flauto! Cosa che puoi
sentire da te all’indirizzo http://punosmusic.com/pages/scratch/index.html
Nel secondo set uso del software che in origine ho composto per The Monkey
Farm per i Doctor Nerve e Valeria Vasilevski, che recita storie scritte da
Charles O’Meara (http://www.doctornerve.org/monkeyfarm/).
Il software è stato progettato allo scopo di colorare la voce umana, e ho
tutta una collezione di plug-in scritti da Phil Burk, Robert Marsanyi e da
me che fanno ciò. Dopo la prima di quella performance ho adattato quel software
in modo che processasse la mia chitarra live. Così lì ci sono dei timbri
molto vocali, particolarmente il "Magyar Instrument" di Robert
che codifica nel software un accento maschile ungherese. Il suo circuito
cerca di distinguere vocali e consonanti nel segnale in ingresso e di trattarle
differentemente per conferire questo accento. E’ interessante inviargli il
segnale della chitarra e sentire come lo interpreta.
E così è ovvio che ci sono un sacco di colori e di azioni musicali che vengono
generati dai tre musicisti che fanno parte di Swim This, ma ci sono anche
questi timbri extra e queste imprevedibili azioni elettroniche che aggiungono
respiro e ricchezza che puoi sentire nella registrazione, e possibilmente anche ambiguità e confusione!
Se ho ben capito, il trio Bone non è più un "trio virtuale ",
avendo fatto (almeno) un concerto a… gennaio?
Sì! Il debutto di Bone come gruppo dal vivo è avvenuto grazie
al grande Bruce Gallanter che ha curato un mese di musica a The Stone a New
York. Ha invitato Hugh Hopper a volare dal Kent e questo ha aperto la possibilità
che Bone suonasse dal vivo. Non avevamo nessuna idea di cosa aspettarci dato
che non ci eravamo mai aspettati di suonare dal vivo.
Ovviamente amo il modo di suonare sia di John che di Hugh, ma non c’era nessuna
ragione a priori perché suonassimo bene insieme come trio dal vivo. E inoltre,
nessuno dei pezzi è stato composto o arrangiato con all’orizzonte la possibilità
che potesse essere suonato dal vivo! Ma è stata un’esibizione davvero feroce
ed entusiasmante. Dieci minuti dopo aver iniziato le nostre prime prove
tutto è cambiato: abbiamo iniziato con uno dei pezzi di Hugh, Green Dansette.
Quando abbiamo finito, nella stanza c’era questo silenzio rispettosamente
sbalordito. Un voce nella mia testa ha detto "whoah, questa cosa andrà
davvero bene". Non vedo l’ora di andare in tour con questo gruppo.
Bone at The Stone, Dec 14,2006 Photo by Scott Friedlander
Mi piacerebbe discutere del tuo CD solo Tube Mouth Bow String. Mi piacerebbe
iniziare dal pezzo registrato dal Sirius String Quartet. Credo che tu sia
contento di come è venuto.
A dire il vero il Sirius suona su tutti i pezzi tranne la traccia 2, il movimento
per sola chitarra. Sì, questo è stato un CD costruito con molta cura e
sono molto contento di come è venuto. Quando suoniamo il pezzo dal vivo
i musicisti devono riuscire a eseguire le parti suonate con l’archetto,
i movimenti dei pedali, che sono completamente scritti, e le vocalizzazioni
scritte su partitura, che da un punto di vista ritmico sono estremamente
difficili. Però per la registrazione abbiamo eseguito questi compiti separatamente,
registrando per prima cosa le parti suonate con l’archetto di ogni strumento
separatamente. Poi abbiamo registrato le parti dei pedali, cosa che gli
esecutori hanno finito per fare usando le mani al fine di ottenere un controllo
molto preciso. Alla fine abbiamo registrato l’esecuzione dei talkbox, che
fa passare tutto quanto attraverso un filtro vocale. Quindi c’è una gran
quantità di controllo e di precisione, che rivela splendidamente i dettagli
della composizione. Per esempio, puoi davvero sentire il movimento in senso
contrario dei glissandi dei pedali, e gli unisono ritmici tra le parti
vocali. Tutto questo dettaglio è lì, quindi puoi ascoltare avendo strategie
diverse, focalizzare la tua attenzione su differenti aspetti sonori e formali
del pezzo. Oppure affrontarlo come un tutto immergendoti in questo paesaggio
che è stracolmo di ricche sonorità, qualcosa che somiglia al "canto
di gola" di Tuva orchestrato per archi. Possiede davvero questi forti
elementi che si oppongono l’un l’altro, di familiarità e allo stesso tempo
di un estremo "essere di un altro mondo".
Gli altri due pezzi realizzati con il Sirius sono "process pieces"
che comprendono delle decisioni in tempo reale prese dall’ensemble. Si potrebbe
pensare che ciò renda facile il processo di produzione, che esso grosso modo
si guiderebbe da sé. Invece il numero di scelte che avevo per il fatto di
avere più di una esecuzione da parte di ciascun musicista, ognuno dei quali
prendeva delle decisioni improvvisate, ha reso il processo di produzione
estremamente denso e ricco di decisioni. Il fatto di scegliere certe piste
al momento della post-produzione ha avuto conseguenze enormi per il pezzo
come un tutto. Per esempio, sono molto contento del missaggio del Chung Hu
di Barbara Benary in What Sheep Herd. Ho cambiato molte volte strategia sull’uso
della sua esecuzione improvvisata, decidendo come essa avrebbe dovuto funzionare
nel missaggio. Alla fine ho trovato la risposta diminuendone il livello fino
al punto in cui devi sforzarti per sentirlo. A volte quasi si fonde
in un altro tono di strumento ad arco, altre volte viene rivelato in un buco
della trama. Suona come un urlo distante e a volte non sei affatto sicuro
se c’è o non c’è. E ovviamente questo fa sì che in un certo senso gli venga
prestata una maggiore attenzione, come nel vecchio aforisma (o forse ormai
è un cliché) "se vuoi l’attenzione di qualcuno, sussurra".
Questo pezzo è stato mai suonato dal vivo?
Tutto il programma era già stato suonato dal vivo nello stesso ordine in
cui è presentato sul CD. Organizzare quel concerto è stato quello che ha
portato all’idea di creare il CD. La serata ha funzionato così bene con
questi pezzi che si completavano l’un l’altro in modo tanto elegante che
il disco è stato solo il naturale precipitato di quell’esperienza.
She Closes Her Sister With Heavy Bones, il primo pezzo
del CD, era già apparso sull’album del Fred Frith Guitar Quartet intitolato
Ayaya Moses. Vuoi parlarmi di questa nuova versione?
Devo dire che amo suonarlo con quattro chitarre elettriche, ed è così che
è stato originariamente eseguito. Ma questo non è propriamente il modo
in cui il pezzo è stato originariamente concepito. E’ un "process
piece" basato su un’unica melodia e su alcune semplici istruzioni.
Quindi l’ensemble non è specificato, e potrebbe essere composto da qualunque
tipo di strumenti. Ross Feller, per esempio, ha diretto il suo ensemble
di studenti della Moorehead State University nell’esecuzione di questo
pezzo, e la ricchezza derivante dall’ascoltare quella varietà di strumentazione
è stata molto soddisfacente. In questa nuova versione registrata abbiamo
una chitarra elettrica molto pulita accompagnata da archi, laddove le note
sono scelte e tenute dai membri del quartetto, cosa che crea accordi casuali
e fa girare questi suoni. Ottieni delle combinazioni di elementi sonori
molto belli e assolutamente inattesi, trasposti in varie ottave. Dopo che
la chitarra scompare rimani con un fantasma della melodia originale, alcune
note della quale sono rese implicite dagli archi rimanenti.
Mi è piaciuto molto il pezzo Machinecore, ne hai degli
altri simili pronti – o già disponibili altrove?
Grazie! Ho degli altri pezzi per solo tabletop guitar +
computer che sono molto ben registrati e che provengono da un concerto che
ho fatto a Berklee l’estate scorsa quando Steve MacLean mi ha invitato lì.
Come regola generale tendo a considerare le improvvisazioni in solo come
qualcosa che ha luogo dal vivo davanti a un pubblico e che quello è davvero
il luogo al quale appartengono, invece di registrarle e pubblicarne una parte
(cioè a dire, perché non pubblicarla tutta; la selezione in vista della pubblicazione
su CD è una scelta compositiva e diventa ambiguo chiamarla ancora improvvisazione).
Ma capisco che questa non è la posizione più illuminata dato che è un’area
nel mio mondo creativo che per me è importante e che è ovviamente sottorappresentata
in forma registrata. Così forse dovrei selezionare dei pezzi in solo e fare
un altro disco, un giorno.
Non so se la mia percezione è corretta, ma credo che
un tempo molti esperimenti interessanti avessero luogo in campo "rock",
mentre oggi molti (ex?) musicisti rock trovano rifugio nell’ambito dell'(ex?)accademia/belle
arti… E mi chiedo se è un problema di fondi, o altro.
Davvero non saprei. Come chi?
Ecco cosa intendo dire: molto
tempo fa gente come… Frank Zappa, Henry Cow, King Crimson ecc. si trovava
in una situazione nella quale il pubblico comprava i loro album e andava
ai loro concerti, e la stampa copriva le loro attività. Non si diventava
ricchi, ovvio, ma una vita dignitosa era un traguardo possibile. Oggi
vedo un sacco di gente che lavora dentro l’accademia (Fred Frith, Elliott
Sharp…) e che suona in festival e manifestazioni che sono pesantemente
sovvenzionate, dove i biglietti non coprono che una frazione dei costi
– proprio come avviene nel caso del balletto, del teatro, dell’opera,
ecc. Mi chiedo se sia un problema di avere fondi per mettere in scena
qualcosa o se sia per il fatto che oggi il pubblico non ha nessun interesse
per cose "difficili" rispetto al tempo in cui i vari Frank
Zappa, Henry Cow, King Crimson ecc. erano attivi.
Grazie, ora la domanda mi è chiara.
So per esperienza diretta che per me è diventato difficile andare in tour.
I posti in cui suonare non sembrano ricevere lo stesso sostegno di una
volta da parte di organismi locali e nazionali (sto descrivendo un lasso
di tempo di qualcosa come gli ultimi dieci o vent’anni). Però non ritengo
che la distribuzione della curiosità umana sia cambiata. Scommetterei che
ogni generazione di ascoltatori ha probabilmente pressoché la stessa percentuale
di gente che vuole fare esperienza di qualcosa che si situa nelle zone
estreme della creatività.
Una volta si raggiungeva l’eccellenza, e quindi il "successo" (in
una varietà di significati) lavorando sodo. E’ stato detto che oggi l’etica
della "lotteria" ha rimpiazzato l’etica del "duro lavoro"
quale strada più probabilmente in grado di produrre risultati, da cui un
atteggiamento da "perché impegnarsi?". Capisco che è una questione
complessa, e non so se quel che dico ha senso per te, ma come vedi l’argomento
qualità e innovazione, nelle arti e altrove?
Non ritengo che a questo proposito la gente sia molto cambiata. Ricordo uno
studente come me al Creative Music Studio nel 1980 bramoso di quel "grande
successo. Tutto quello che ti serve è un solo grande successo". Per
quel che ne so non ne ha mai avuto uno e credo che così facendo abbia sacrificato
l’opportunità di creare un sacco di musica creativa e soddisfacente. A quel
tempo ho anche visto dei gruppi giovani e molto dediti faticare duramente
allo scopo di ottenere un contratto discografico, e quando è stato chiaro
che non ne avrebbero ottenuto uno la spinta si è esaurita e a quel punto
si sono sciolti. Nel frattempo io stavo mettendo su i Doctor Nerve, ho pubblicato
il mio primo LP in modo autonomo, non ho mai avuto un grosso successo, e
ho tenuto in piedi il mio gruppo per più di venticinque anni. Quindi io credo
che nel mondo delle arti, e certamente in quello della musica, questa avidità
di avere una
"pallottola magica" ci sia sempre stata. Cioè a dire, che se solo
tu avessi avuto un grosso successo di vendita o un contratto discografico
o il manager giusto o qualsiasi altra cosa ce l’avresti fatta. E tutte queste
discussioni a proposito del successo non hanno mai avuto niente a che fare
con la visione artistica o con l’eccellenza, mentre hanno sempre a che fare
con la manipolazione dell’arte e con il controllo dell’opinione pubblica.
Quindi credo invece che se definisci il successo artistico come il costruire
una vita nella quale rimani costantemente creativo e genuinamente entusiasta
di quello che fai, allora ti sei davvero assunto la responsabilità del tuo
lavoro e ne hai preso il pieno controllo.
Non sappiamo se tra cinque anni le case discografiche come le conosciamo
oggi esisteranno ancora, né se esisterà ancora il CD come oggetto fisico.
Ovviamente ci sono molti punti che potrebbero essere discussi qui (e ovviamente
sarai il benvenuto se lo farai!), ma: ritieni che la (vastità della) Rete
renderà le cose più semplici per coloro i quali si situano al di fuori del
mainstream?
Sì, non c’è dubbio che Internet rende possibile una distribuzione
della musica che era impossibile in precedenza. Per fare l’esempio concreto
del mio CD solista Binky Boy, prima di Internet avrei prodotto 1000 copie
e per fare uscire la musica avrei dovuto contare su invii postali, concerti
e su una manciata di distributori. Con il Web c’è stato un leggero miglioramento,
dato che sono stato in grado di mettere su una pagina con delle informazioni
su di esso, alcuni estratti audio, e delle informazioni su come ordinarlo.
Quindi è già un po’ meglio, dato che c’è chi potrebbe imbattersi in quella
pagina in modo fortuito. Ma la situazione attuale di averlo disponibile su
iTunes Music Store, EMusic e altri siti di distribuzione digitale è la cosa
più promettente. Non c’è nessuno che ha più spazio di nessun altro su iTunes
(non tenendo conto delle pubblicità pagate e dei banner per certi artisti
che tu vedi quando fai il primo log in, e capisco che chiedere di non considerare
questo è molto). Ma tuttavia ritengo che la distribuzione digitale sia uno
sviluppo molto positivo. E ovviamente quelli che ancora vogliono un CD audio
del tipo full resolution possono ancora ordinare il CD stesso, avere le illustrazioni
della copertina, le note del libretto e così via.
Ma a mio modo di vedere le implicazioni più interessanti quando parliamo
di distribuzione musicale su Internet riguardano la musica in tempo reale.
Dicendo questo non mi riferisco a uno streaming audio ma a un contenuto
sonoro in tempo reale creato automaticamente o in modo interattivo. Per
esempio, ho progettato una versione software del Rhythmicon di Cowell/Theremin,
uno strumento musicale elettronico dei primi del XX secolo. Lo puoi trovare
all’indirizzo http://musicmavericks.publicradio.org/rhythmicon/ Puoi
suonarlo, registrare un pezzo, caricarlo, scaricare i lavori di altri e
così via. Per questo aspetto è come avere online un pianoforte a rulli,
e in effetti non rientra in molti modelli correnti di distribuzione musicale,
ma possiede una forte identità e ha catalizzato centinaia di composizioni
e anche un CD di pezzi composti usandolo (è su Innova Records). Un altro
esempio è Music for HotSpots, che è un’altra modifica del software Monkey
Farm di cui ho parlato in precedenza (quello con l’accento ungherese).
Chiamato Music for Hotspots, è accessibile all’indirizzo http://www.punosmusic.com/pages/musicforhotspots/ L’idea
è quella che puoi metterti la cuffia, accendere il microfono interno del
tuo laptop e ascoltare l’ambiente in cui sei immerso in una forma estremamente
alterata da questi "modificatori sonori". Ed è un’esperienza
che disorienta molto, per esempio quella di stare in un coffee shop, guardare
le bocche della gente muoversi nel corso di una conversazione e invece
di sentire il loro parlare sentire del suono a stento comprensibile. Hai
solo bisogno di una connessione a Internet, cuffie e un laptop… Ce l’ho
in funzione proprio adesso, senza cuffia, e il suono del battere sui tasti
sta creando questi modelli ritmici che fanno loro eco e che è in un certo
senso divertente avere in sottofondo.
Ma avendo detto questo, credo che ci sarà sempre posto per un oggetto fisico
come un CD o qualche altro oggetto tangibile che puoi tenere in mano, esaminare,
leggere, su cui meditare… ricorda i tuoi dischi preferiti di quando eri
ragazzo, quanto tempo passavi a guardare le copertine, memorizzando i dettagli
mentre il disco suonava. Non c’è niente che potrà mai rimpiazzare quell’esperienza
di rapportarsi in modo sensoriale a un oggetto tangibile. Il che non vuol
dire che i media tangibili non scompariranno! All’estinzione non importa
quanto valore attribuisci a quello che è andato perduto, l’estinzione semplicemente "è".
Quindi qui non sto predicendo qualcosa. So solo che mi manca la bellezza
della copertina degli album a grandezza 12", in special modo quelle
che si aprivano (ma non piango in modo particolare la perdita del prodotto
derivato dal petrolio che c’era dentro).
So che hai suonato in un quartetto di chitarre dedito all’improvvisazione
comprendente Keith Rowe, Hans Tammen ed Erhard Hirt. E che hai registrato
delle improvvisazioni in duo con Henry Kaiser. E’ verosimile pensare che
le ascolteremo, dal vivo e su CD?
Henry e io abbiamo registrato nel suo studio quando sono
stato nella Bay area un paio di anni fa. Quello è stato un pomeriggio davvero
divertente; se si tratta di chitarre è un padrone di casa molto divertente.
Abbiamo missato un paio di questi pezzi e l’anno dopo li abbiamo mandati
al New Music Bazaar di Kalvos e Damien, che li hanno trasmessi qualche volta.
Chissà se le trasmissioni sono accessibili online da qualche parte nei loro
archivi…? Abbiamo un certo numero di registrazioni del quartetto con Rowe,
Tammen e Hirt. Abbiamo fatto un pensierino a proposito di pubblicarli ma
a questo proposito le cose non si sono ancora disposte nel verso giusto.
Suoneremo nuovamente insieme a Budapest a settembre nel corso di un convegno
sulla computer music, eseguendo una improvvisazione guidata da un software
che comporrò io. E forse da questo verrà fuori qualcosa.
C’è dell’altro che vorresti dire? Fallo pure!
Oggi vado a Washington Heights per sentire il Either/Or
Ensemble che prova il mio nuovo pezzo intitolato If Reptile’s Organs Thrive
per piano e violino, che sarà eseguito per la prima volta domani, venerdì.
Sto lavorando a un nuovo pezzo che vede combinarsi le forze del quartetto
d’archi Ethel e della Electric Kompany di Kevin Gallagher. Mi sto anche preparando
a pubblicare un "oggetto" per notazione musicale per la diffusa
piattaforma di computer music Max/MSP. Intendo pubblicare The Monkey Farm
su CD al più presto possibile, e poi c’è Ice Cream Time (eseguito dall’ARTE
Sax Quartet, da Thomas Dimuzio e da me) che esce quest’estate su New World
Records. Il mio figlio più grande, Leo, suona la batteria, e quello più piccolo,
Sasha, la chitarra. La vita è bella.
© Beppe Colli 2007
CloudsandClocks.net
| Apr. 9, 2007