Intervista
a
Nick
Didkovsky (2000)
—————-
di Beppe
Colli
July
1, 2003
I motivi
dell’esistenza di questa intervista (originariamente apparsa in italiano
su Blow Up # 28, settembre 2000) sono sufficientemente esplicitati nel
cappello che la introduce. Rileggendola adesso, diremmo che alcuni dei
punti che avremmo gradito venissero colti all’epoca della sua prima
apparizione risultano ancora più importanti (e forse ancor meno
comprensibili ai più).
L’intervista
è stata realizzata mediante posta elettronica. Le risposte sono
pervenute il 9 luglio 2000.
Anche se
sulle prime non riuscivamo a crederci – data la natura estremamente
comunicativa, e di formidabile impatto, della musica dei Doctor Nerve
– questa è la prima intervista sulla formazione statunitense
che appare in Italia. Logico, quindi, scegliere un approccio "a
tutto campo" per la nostra conversazione a distanza con il leader
del gruppo Nick Didkovsky – compositore, autore di software, formidabile
matematico nonché splendido (e metallico) chitarrista. Una conversazione che crediamo
interessante per chi già ben conosce la musica del gruppo e allo
stesso tempo utile quale introduzione alla sua produzione discografica.
Quel che
ci preme qui sottolineare è l’innegabile natura rock di questa musica – esattamente nella stessa
accezione che il termine possiede qualora parliamo di Frank Zappa, Henry
Cow e King Crimson: impatto ed elettricità, certo, ma anche riflessione
sulla natura della composizione (e dell’improvvisazione), consapevolezza
dell’impianto armonico-ritmico di nomi quali Stravinskij e Bartók
– oltre a una elaborazione personale delle conseguenze che le formalizzazioni
dei sistemi matematici alla base della computer music hanno avuto per
il concetto del comporre. Ma attenzione: quella dei
Doctor Nerve non è una musica il cui ascolto necessita di
(almeno) un diploma post-laurea. E se durante l’ascolto di Skin ci si
sorprendesse a maneggiare la classica "air guitar"…
beh, la cosa non sarebbe affatto inappropriata – proprio mentre il titolo
dell’album (Skin = Pelle)
ci indirizza alla natura dualistica della musica (che è stata
scherzosamente definita "Mensa-metal"): dove lo sperimentare
con tecniche radicali di composizione viene vestito dalla "pelle"
del metal; ovvero, come ha detto Didkovsky, "la superficie contrapposta
all’essenza".
Certamente
questa musica non è "jazz", come frettolosamente vorrebbe
chi considera la formidabile front-line del gruppo – tromba, sax soprano,
clarinetto basso – una qualificazione di genere "a prescindere".
Né era ben fondata la parentela con la (fantomatica) "scena
newyorchese" di Zorn e Sharp tirata in ballo per il primo album
o quella con i Material chiamati in causa per il secondo. Certo è
che il gruppo entra nel suo periodo migliore con Did Sprinting Die?,
dal vivo e con l’aggiunta di tre brani composti ed eseguiti dal computer,
proseguendo benissimo con le atmosfere bellamente nevrotiche di Beta
14 ok ("Le Beta Waves sono onde cerebrali caratteristiche di stati
di estrema eccitazione e irritabilità", ci avvertono le
note di copertina), album che vede l’apporto tecnico di Martin Bisi
e che contiene i 44 Nerve Events che saranno all’origine delle trasformazioni
elettroniche di Transforms. E se Skin è, come già detto,
l’album "metal", Every Screaming Ear è
forse la migliore introduzione al gruppo, spaziando da un "computer
generated" Nerveware No. 8 in versione acustica a una cover davvero
esplosiva di When It Blows Its Stacks di Captain Beefheart, per poi
arrivare alla versione bizzarramente metallica di Preaching To The Converted
eseguita dal vivo in Giappone da Didkovsky con lo Isso Yukihiro Group.
Ereia, con un quartetto d’archi che va ad aggiungersi alla formazione
tipica, è forse un lavoro maggiormente
ambizioso, che conferma la dimensione estetica complessiva mentre rinuncia
in parte alla stringatezza e alla ritmicità parossistica che
avevano finora contraddistinto il gruppo, e che solo per questo – e
non certo per una sua maggiore "difficoltà" – necessita
di un paio di ascolti di "rodaggio".
Alla
base di tutto c’è sempre il maturo polistilismo di Didkovsky,
che – senza mai rinnegare nulla – ha saputo innestare sulla passione
per l’hard rock tipica della sua adolescenza una riflessione sulla "composizione
automatica" degli anni ’50 (fin troppo facile citare la musica
generata con mezzi stocastici da Iannis Xenakis), lo studio di quanto
nel campo è stato prodotto in seguito e la scrittura di un software
per comporre "che usa tecniche seriali, algoritmi trasformativi
e operazioni casuali" e che "funziona in modo vicino al campo
della matematica pura. In ragione del suo uso del caso, è estremamente
improbabile che due prodotti del programma diano risultati identici.
Usare il programma ripetutamente richiama l’immagine di una band che
improvvisa, provando sempre nuove idee."
Vorrei
partire da Ereia, il recente CD inciso dai Doctor Nerve con il Sirius
String Quartet. Il tuo interesse per gli strumenti ad arco non è
certo nuovo: ricordo di aver letto di una collaborazione avvenuta nei
primi anni ’90 con il Soldier String Quartet – ed era stato annunciato
un CD, inciso dal vivo alla Knitting Factory, comprendente "improvvisazioni
eterodirette" ("conducted improvisations", o "deconstructions")
proprio con la partecipazione del Sirius String Quartet. So anche che
hai composto una suite, Amalia’s Secret, per i Bang On A Can All-Stars.
Vuoi parlarmi di questo aspetto del tuo lavoro?
Per ciò
che riguarda la musica la mia prima influenza è stata probabilmente
mia nonna, Elizabeth Bauer. La ricordo suonare il piano nel nostro appartamento
nel Bronx quando avevo tre o quattro anni – di solito Mozart e Bach,
sebbene non rifuggisse dall’eseguire versioni di Moon River o Spanish
Eyes. Non era un’improvvisatrice – leggeva dagli spartiti, ma parlava
frequentemente di espressione personale, ad esempio rallentare o accelerare
certi passaggi a seconda del tuo stato d’animo, cose semplici che risultavano
comprensibili a un bambino di quattro anni.
Mi raccontò
una storia a proposito del suo primo strumento, un violino. La versione
breve della storia è questa: lei era la maggiore di undici figli,
e li allevò da sola, non concedendosi quasi nessuno spazio nella
vita per se stessa. Vide un violino in una vetrina e risparmiò
per alcuni anni per poterlo comprare – per poi vedersi negare dalla
sua cara mamma il permesso di comprarlo. Cadde allora in preda a una
febbre da trauma o qualcosa di simile, e quando finalmente le fu detto
che poteva averlo si rimise e lo comprò. Ho ancora quel violino.
L’ho suonato, e anche i miei due figli. Ma non ho mai sentito mia nonna
suonarlo. Credo che fosse un oggetto troppo carico di significato perché
lei lo suonasse negli ultimi anni della sua vita. La sua dev’essere
stata un’infanzia davvero orribile.
Usai il
suo violino su alcune registrazioni casalinghe che non sono mai uscite
su CD, e anche in un ensemble con Elodie Lauten – producendo rumori
processati elettronicamente che il New York Times ha liquidato come
"stridii irrilevanti" (sebbene io pensassi che fossero stridii
estremamente rilevanti). L’ho usato anche per improvvisare in modo informale
con Julie Joslyn (degli Iconoclast) e mi sono divertito un sacco a vedere
quello che il violino può fare da un punto di vista acustico.
Ma io non
sono un violinista (il NY Times sarebbe certamente d’accordo) e quindi
nella mia musica il bisogno di quel suono dev’essere soddisfatto da
altri musicisti. Sui primi due dischi dei Doctor Nerve Anne Brudevold
ha suonato il violino, e niente mi farebbe più piacere di averla
oggi nel gruppo (si è trasferita in un altro stato e ha abbandonato
il violino in favore della scrittura creativa). Ann Sheldon ha suonato
il violoncello sul primo disco dei Nerve, ma la sua partecipazione al
gruppo fu interrotta prima dalla sua esperienza con i Psychedelic Furs
e poi, tragicamente, dalla sua morte in un incidente d’auto.
Sia Ann
che Anne erano delle strumentiste brillanti, e Anne, in particolar modo,
era un’incredibile improvvisatrice. Ann Sheldon aveva un retroterra
maggiormente classico, ma aveva la capacità ritmica di suonare
duro e pesante in una rock band. Fu allora, quando ci
chiamavamo ancora Defense Spending, che ebbe inizio il suono dei Nerve
con gli archi.
Con la
perdita delle due Ann(e) i Nerve si assestarono nella formazione corrente,
con la sezione di percussioni, chitarra e basso elettrici e la sezione
fiati. Una sezione d’archi è stata in molti sensi un’aggiunta
naturale. E’ solo che a quel punto le dimensioni del gruppo diventano
difficili da gestire, così la cosa non è mai stata presa
davvero in considerazione finché la borsa che mi ha finanziato
il lavoro non ha reso possibile permetterci il tempo e il budget necessari.
Ereia
è un lavoro in tre movimenti; lasciando da parte per adesso il
fatto di comporre usando il software HMSL – una cosa che mi piacerebbe
discutere più avanti – vorrei chiederti della relazione fra i
tre movimenti: nelle note di copertina del CD hai definito il secondo
movimento un "ponte morfologico" e una "improvvisazione
eterodiretta". Vorresti parlarmi di questo tipo di improvvisazione? E’ collegata al vocabolario di "segni e gesti manuali"
di cui hai trattato su un articolo che hai scritto qualche anno fa per
Rubberneck (e che presumo ignoto alla maggior parte dei lettori)? Ed
è il concetto di "morphological bridge" correlato a
quello di "musical morph" che hai detto di avere usato in
Preaching To The Converted, su Skin?
Il mio
uso del termine "morphological bridge"
vuol dire che alcune delle morfologie del primo e del terzo movimento
si trovano nel secondo. Il problema era quello di connettere il primo
movimento, per solo quartetto d’archi, al terzo, che vede l’intero ensemble.
Il timbro e i materiali di questi due movimenti avevano bisogno di un
ponte. E questa è la funzione del secondo movimento. Non è
un caso che il primo suono del secondo movimento sia quello di ciascuno
strumento che suona a tutto volume.
Quindi
è molto diverso da un "musical morph", che consiste nel prendere il materiale di partenza
e trasformarlo progressivamente nel materiale d’arrivo mediante l’uso
di algoritmi. Sebbene le due cose siano poi collegate a un livello superiore
di senso, credo.
La "conducted
improvisation"
è una strada a due sensi, dove uso un piccolo set di segnali
della mano per dirigere i membri dell’ensemble. La loro risposta, a
sua volta, suggerisce ciò che farò in seguito. Il metodo
che uso è in grado di produrre cambiamenti veloci tra materiali
estremamente differenti grazie al segnale di "attacco" ("downbeat") che viene usato per dare l’indicazione
di cambiare. Prima del downbeat fornisco ai musicisti l’informazione su
quello che dovrà essere il loro comportamento successivo, ma
il cambiamento non si produce fino al mio segnale. E così c’è
il potenziale per dei cambiamenti che hanno la precisione di un taglio
operato su nastro. Sì, sono gli stessi segnali di cui ho parlato
su Rubberneck.
Vorrei
andare un po’ indietro. Ho sentito parlare del tuo gruppo per la prima
volta nel 1987, al Festival MIMI in Francia: tra i musicisti che prendevano
parte alle improvvisazioni del giorno seguente Fred Frith ha annunciato
"Nick Didkovsky dei Doctor Nerve" – un nome che rimane impresso.
So che "Doctor Nerve" era il titolo di una composizione, ma
cosa rappresenta per te? Mi pare che il nome precedente del gruppo fosse
"Lethal Injection": c’è un "tema" comune?
Il nome
Doctor Nerve è nato in una stanza d’albergo quando Zorobabel
e io cercavamo un nome per il nostro duo. Zoro è un batterista
che viveva in Germania, e ho trascorso un’estate lì con lui e
la sua famiglia (Paul e Limpe Fuchs di Anima Musica). Abbiamo riso pazzamente
quando quel nome è venuto fuori dal nulla e capimmo che era eccellente.
Uno dei groove su cui improvvisavamo in duo finì per essere,
anni dopo, la base ritmica di un pezzo della band chiamata Lethal Injection
(che fu la prima versione dei Nerve con base a New York). Chiamai quel
brano Doctor Nerve. Non ci piaceva molto il nome Lethal Injection…
invece il gruppo si entusiasmò per il nome Doctor Nerve, e così
lo adottammo. Il duo con Zoro aveva cessato di esistere alcuni anni
prima, cosicché non ci fu alcuna confusione o sovrapposizione.
Il primo
album dei Doctor Nerve che ho comprato è stato Armed Observation,
credo proprio a quel festival. A considerarli oggi, qual è la
tua opinione dei primi due album?
Rimango
stupito dallo spirito e dall’energia "grezza" del primo LP
– così tanto dell’album fu registrato in una sola esecuzione
sul mio registratore a 4 piste. Mi riporta indietro a un periodo del
guppo molto fresco e spontaneo ("Tempi splendidi", come mi
ha scritto recentemente Chuck Verstraeten, trombonista e membro originale,
citando i trapper di montagna del New England). Il gruppo esplodeva
con questo suono appena trovato e tutti cavalcavamo quest’onda ad alta
energia.
Il secondo
LP è stato molto importante per chiarire il fatto che i Nerve
erano un gruppo e non un progetto fatto da molti musicisti e un compositore.
Le composizioni sono più mature, e tutto mi suona più
"New York". Credo che Mike Leslie e Jim Mussen nella sezione
ritmica abbiano avuto molto a che fare con quest’impronta newyorkese;
Jim era un batterista che colpiva davvero duro e che amava suonare "anticipato",
mentre Mike aveva tonnellate di carica funk nelle mani, che cercavano
quindi di tenere a freno Jim… si "urtavano" l’un l’altro
in un modo molto eccitante.
Complessivamente,
l’energia del primo LP era più festosa, quella del secondo più
brutale, a mio modo di vedere. Tutti e due traboccano di energia, così
sta a te scegliere l’atmosfera…
Nonostante
la maggior parte del materiale provenisse dai due album precedenti il
CD successivo, Did Sprinting Die?, mi è piaciuto di più
– suppongo il motivo sia stato un maggiore affiatamento della band e
inoltre i nuovi musicisti al basso e alla batteria (tra parentesi, è
vero che il concerto riprodotto sul CD è stato il primo che Rob
Henke ha fatto col gruppo?). Credo che avere avuto una formazione fatta
di ottimi musicisti e che è rimasta stabile negli anni, sviluppando
quindi una grande familiarità col tuo vocabolario musicale e
con le tue procedure, sia stato un fattore importante per il modo estremamente
riuscito in cui la tua musica è stata "tolta" dalla
pagina scritta.
Sì,
quella è stata la prima volta che Rob ha suonato con noi. Un
grande concerto, inoltre. E’ un gran disco, probabilmente ascoltato
meno di quello che meriterebbe. In origine era un’edizione a tiratura
limitata, il che probabilmente ha danneggiato la sua popolarità
e la sua disponibilità. La Cuneiform sarebbe d’accordo, credo,
quindi la pensiamo allo stesso modo. Sprinting ha inaugurato una nuova
era, nella quale il mio lavoro di programmazione al computer ha spinto
me e il gruppo verso nuove direzioni. E ha consolidato quello che era
cominciato con Armed Observation: il fatto che questa è una live
band, che in concerto può graffiarti la faccia. Ed è vero,
la maggior parte dei musicisti sta sul palco senza bisogno di avere
davanti le partiture.
Dato
che quello che conosciamo fa da cornice a ciò che percepiamo,
quando ho ascoltato per la prima volta i tre brani "generati"
(e suonati) dal computer presenti su Did Sprinting Die? devo dire che
mi è venuto in mente il lavoro di Frank Zappa col Synclavier
(ad esempio l’album Jazz From Hell), in particolare Piece No. 8 – anche
se era forse più un’affinità timbrica, dato che dopo aver
ascoltato l’arrangiamento acustico di Nerveware No. 8 suonato dai NewEar
su Every Screaming Ear la somiglianza mi è parsa di gran lunga
minore. All’epoca eri consapevole del lavoro di Zappa col Synclavier
– e che opinione hai del modo in cui ha tradotto alcune cose che aveva
composto senza tenere in alcuna considerazione la realizzabilità
di una performance dal vivo nella sua successiva collaborazione con
l’Ensemble Modern?
Ho ascoltato
Jazz From Hell una volta e a dire il vero non mi è piaciuto molto.
Non ricordo esattamente il perché; forse perché non suonava
"grezzo" e "stupido" come il mio software di composizione
automatizzata.
Forse la
differenza consiste in questo: che il suo lavoro al Synclavier è
stato creato per risolvere problemi specifici all’esecuzione, cioè
a dire creare per mezzo di una macchina della musica che nessun essere
umano sarebbe stato probabilmente in grado di eseguire. Il mio lavoro
è stato creato con riguardo a problemi legati alla composizione,
cioè per creare una musica che era alquanto improbabile fosse
creata da un essere umano.
Potresti
parlarmi della tua istruzione musicale? So che hai studiato col compositore
Christian Wolff e che hai poi conseguito un Master’s Degree in Computer
Music alla New York University. Inoltre so che hai frequentato il Creative
Music Studio a Woodstock, New York – è vero che era soprannominata
la Crazy Music School? (Credo che di recente sia stato pubblicato un
libro che ne parla.) L’unica cosa che ricordo è che ci ha insegnato
Karl Berger – ho letto un articolo di Rafi Zabor su Musician (verso
la fine degli anni ’70) su un soggiorno lì dei musicisti dell’Art
Ensemble Of Chicago quali "artists-in-residence"…
L’insegnamento
più prezioso mi è venuto dall’avere studiato musica elettronica
con Gerald Shapiro, le cui parole "cambia le cose prima che il
pubblico si abitui ad esse" mi risuonano forti ancora oggi. E anche
studiare con Christian Wolff, che mi ha fatto conoscere "classici"
dell’avanguardia come Les Moutons de Panurge… abbiamo perfino formato
un ensemble, in quella classe, e poi abbiamo fatto un concerto alla
fine del semestre. La cosa che allora mi ha maggiormente colpito è
che pensavo che il pubblico ci avrebbe odiato. Ho sperimentato allora
questa straordinaria dissonanza tra le mie aspettazioni e la realtà
quando ho visto quelle facce sorridenti che ci guardavano. Quello è
stato un momento molto forte che mi ha detto qualcosa come: non importa
quanto tu sia strano, ci saranno probabilmente un sacco di persone alle
quali la cosa piacerà.
Ma a ben
considerare la migliore educazione è stata la mia esperienza
al Creative Music Studio, dove un’enorme varietà di influenze
ruggiva attraverso le nostre vite. E il ciclo settimanale
di preparare nuovi lavori, suonare sulle composizioni di altri, suonare
musica di compositori "in visita" eccetera, mi ha fornito
una formazione basata sull’esperienza che non credo esista oggi da nessuna
parte. E’ una vergogna che il CMS non esista più – sono stato
estremamente fortunato a poterci andare prima che scomparisse.
Karl Berger
(il fondatore del CMS) è uno dei più grandi insegnanti
sul pianeta. Ed è così modesto al riguardo che credo molti
lo considerino un brillante musicista e compositore (cosa che lui è)
e sottovalutino il suo ruolo quale uno dei più grandi docenti
che il pianeta abbia mai prodotto. Il modo in cui riusciva a catalizzare
la sperimentazione e l’apprendimento creativo senza regole, un manifesto, un programma, un "libro di testo",
niente promesse – e nessun sostegno da parte dell’establishment dell’istruzione
– è qualcosa di miracoloso, e un modello cui i docenti di tutti
i campi dovrebbero prestare attenzione.
Suggerirei fortemente ai tuoi lettori di imparare di più su Karl
e il CMS tramite il libro di Bob Sweet chiamato Music Universe, Music
Mind all’indirizzo http://www.ingress.com/~drnerve/nerve/pages/musuniv.shtml
Bob sarebbe felice di essere contattato via email da chiunque sia interessato
al CMS all’indirizzo: [email protected]
Mi parleresti
di come hai cominciato a interessarti del software HMSL quale strumento
di composizione? E come il tuo concetto e l’uso di questo mezzo – e
il mezzo stesso, ovviamente – sono cambiati nel corso degli anni?
Dapprima
fui indirizzato verso il HMSL da Pauline Oliveros, dato che ero interessato
a creare un brano per molti strumentisti basato sul gioco (nel senso
della Teoria dei giochi, ndi)
detto "Il dilemma del prigioniero". Dopo avere acquisito un
po’ di familiarità col HMSL ho cominciato a fare dei semplici
esperimenti, cercando di far sì che HMSL generasse della musica
per i Doctor Nerve. I programmi sono stati perfezionati nel tempo e
con l’introduzione di alcune istruzioni che ho scritto per salvare il
materiale generato dal HMSL in un formato di file che risultasse leggibile
da un comune software di notazione musicale ho avuto i mezzi giusti
per creare lavori generati dal computer per i Nerve. Il concetto al
suo livello più alto è rimasto immutato negli anni: spingere
il processo creativo, abbattere i pregiudizi e le barriere formali creando
musica tramite un’entità software cui non importa molto di preconcetti
culturali o tecnici.
Al giorno
d’oggi usare i computer per fare musica è una cosa estremamente
comune. In una tua intervista di qualche anno fa ho trovato l’interessante
definizione della "esplosione del PC come un’altra opportunità
di virtuosismo consumistico". Vorresti parlarne?
Credo che
allora stessi citando Ron Kuivala. C’è tanto software e hardware
in vendita che è stato creato per aiutare la gente a fare musica
usando i PC. Puoi sempre uscire e comprare il nuovissimo fantastico
set di plug-in per audio processing o delle audio card per questo o
quel sistema. E quindi mi piace scrivermi il mio software!
Comunque
ho assemblato Ereia sul mio PC usando Vegas Pro. Tutti i file audio
sono stati splendidamente convertiti in digitale con audio a 24 bit.
Vegas Pro è un bel programma, ma ho visto subito quanto sarebbe
facile spenderci più soldi, comprare altri pacchetti per effetti
per ottenere riverbero, equalizzazione, special sound processing ecc…
non si finisce mai. Devi solo decidere qual è il punto in cui
hai strumenti a sufficienza per realizzare della musica creativa. Per
esempio, un poeta o uno scrittore non ha bisogno di una matita più
grossa o migliore, né di un computer più veloce con un
word processor più perfezionato ogni due anni. Scegli i tuoi
strumenti, fissa i tuoi limiti personali e vai vai vai.
Quello
che trovo strano è che nonostante i computer siano degli strumenti
molto flessibili nella percezione di molti il loro utilizzo appare correlato
a stili ben precisi. Posseggo alcuni CD di George Lewis e Richard Teitelbaum
ad alto tasso di utilizzo di computer – e anche un bellissimo duo di
David Rosemboom ed Anthony Braxton (Two Lines); eppure, a giudicare
dalla mia esperienza personale, questi non sono musicisti che perfino
quelli che hanno familiarità col loro lavoro chiamerebbero "computer
artists"…
Trovo quel
CD di Rosemboom e Braxton di assoluta ispirazione! Mi fa venir voglia
di formare un gruppo con un pianoforte acustico controllato dal computer
e con musicisti acustici. Sarebbe fantastico. Beh, io ho sempre pensato
a Dave come a un "computer artist" in ragione del suo ruolo
quale uno dei creatori del HMSL. E anche se ho visto George più
spesso nelle vesti di suonatore di tuba che in quelle di musicista che
interagisce con un software lo associo molto fortemente al suo software
che improvvisa. Anche Richard, nella mia mente, è molto connesso
all’elettronica. Quello che è straordinario a proposito di questi
nomi è, a mio modo di vedere, quanto la loro visione e le loro
intenzioni musicali facciano passare in secondo piano i mezzi che usano.
Le loro idee sono molto più grandi del software e dell’hardware
che usano. Il che ha in qualche modo a che fare con il tuo commento
sullo stile, credo.
Vorrei
chiederti di parlarmi di tre tuoi pezzi che trovo molto interessanti:
Fast Fourier Fugue da Beta 14 ok e Ironwood e Our Soldiers Are Soft
Pianos da Skin.
I primi
due pezzi appartengono a una classe di lavori di computer music che
sonorizzano algoritmi matematici, mentre il terzo è uno strumento
virtuale interattivo.
Fast Fourier
Fugue è stato scritto dopo che Robert Marsanyi e io abbiamo trasportato
un algoritmo FFT in JForth, che era il layer di software in FORTH che
supportava HMSL. Ero in grado di specificare gli armonici e le loro
magnitudo in uno spettro armonico e poi di generare una forma d’onda
da questo spettro. Mi piaceva l’idea di suonare queste forma d’onda
su una scala macro: cioè a dire, melodie che salivano e scendevano
piuttosto che toni statici nella gamma audio. Man mano che il pezzo
si sviluppa aggiunge un numero sempre maggiore di armonici complessi
a quattro forme d’onda generate in maniera indipendente, cosicché
queste melodie arpeggiano in su e in giù in modo sempre più
movimentato nel corso del pezzo. Due cose che mi piacciono di questo
pezzo sono: 1) che man mano che il pezzo accelera esso rende implicita
una evoluzione che successivamente produrrebbe le forme d’onda a frequenze
audio, e 2) mi piace anche l’auto-somiglianza della melodia a vari ingrandimenti
temporali – il che è una cosa che viene spesso associata ai frattali;
ma questa non è musica "frattalica".
Ironwood
è il terzo pezzo di una serie di sonificazioni di algoritmi ricorsivi.
I primi due furono commissionati dal percussionista Kevin Norton, per
il quale ho scritto un brano per marimba e un brano per set di batteria,
basati rispettivamente sull’algoritmo del Triangolo di Pascal e sull’algoritmo
della Torre di Hanoi. Ironwood è un brano per set di batteria
basato su attraversamenti di una struttura di dati chiamata "albero
binario". Esso percorre l’albero in tre modi (infix, postfix e
prefix) ogniqualvolta viene aggiunta una nuova "foglia" casuale
all’albero. Un esempio di notazione infix è "1+2",
mentre in prefix sarebbe scritta "+ 1 2" e in postfix "1
2 +". Un esempio più complesso potrebbe essere l’espressione
infix (1 + 2) * 3 + 4, che scritta in postfix sarebbe 1 2 + 3 * 4 +
Se immagini
di sostituire rullante, tom, cassa e hi-hat ai simboli matematici puoi
immaginare di sentire lo stesso materiale suonato in tre permutazioni
logiche peculiari ogni volta che l’albero è attraversato.
Our Soldiers
era uno strumento interattivo che ho scritto in HMSL per un pezzo teatrale
di Tena Cohen. Usava 8 voci indipendenti per mettere in loop varie melodie
dal pezzo dei Nerve chiamato Our Soldiers
Are Soft As Babies And They Squander Their Stipends A-Whoring (che era
un titolo tratto da un monologo di un comic book che il mio amico Tom
Marsan e io stiamo scrivendo chiamato The Sad Hungarian). Ho letto a
me stesso un passaggio del lavoro di Tena mentre suonavo lo strumento,
per avere il tempo e il feel del pezzo che doveva accompagnare questo
passaggio. Ho pensato che poteva reggersi anche da solo e quindi l’ho
messo sul CD.
Cambiamo
argomento: credo possa essere detto che, almeno su disco, sei venuto
fuori come chitarrista con Skin – e forse a questo proposito potrebbe
esserci un parallelo con artisti quali Zappa o Fripp, che dapprima sono
stati visti soprattutto come compositori e bandleader dato che non mettevano
mai molto in evidenza il loro strumento. Mi parleresti delle tue "radici"
come chitarrista? E quali elementi di questi chitarristi ti hanno attratto?
Le mie
radici come chitarrista risalgono alle mie prime esperienze nel suonare
heavy metal e hard rock alla scuola media e al liceo. Un sacco di Kiss,
Queen, Led Zeppelin, Alice Cooper, Black Sabbath, Deep Purple, UFO,
Hendrix… Mi sono piaciuti Fripp e Zappa un po’ più tardi, quando
cominciavo ad appassionarmi a degli stili più progressive di
composizione musicale. Fripp per me ha liberato il tritono! (L’intervallo
di quarta aumentata/quinta diminuita, considerato dissonante, detto
nel Medioevo "Diabolus in musica". Si ascolti ad esempio il
rapporto tra chitarra e basso nell’ultima frase di Red, ndi)
Ma devo dire di non essere più il fan di Fripp che ero anni fa.
Una
piccola domanda su due assolo su Skin: mi è sembrato di cogliere
qualcosa di Ritchie Blackmore nella seconda parte del primo assolo di
Preaching To The Converted, e sicuramente più di un pizzico di
Zappa nel tuo assolo in Little Jonny Stinkypants (il fraseggio e l’uso
del pedale wha-wha…)
L’assolo
di Preaching deriva maggiormente, direi, da Ace Frehley e Dimebag Darrell
(rispettivamente Kiss e Pantera, ndi).
La cosa difficile di quell’assolo è stata far funzionare il fraseggio
sui tempi di quel riff. Ma sicuramente l’assolo di Stinkypants è
un omaggio a Zappa, con il wha wha, le note "stipate" e il
microfono a contatto sulla chitarra.
Se non
vado errato hai citato l’assolo di Frank Zappa su Black Napkins come
uno dei tuoi preferiti in assoluto: potresti dirmi il motivo? (La prima
volta che ho sentito quell’assolo ricordo di essermi chiesto: che diavolo
di wha-wha è questo? – credo sia un VCF della Oberheim, giusto?)
Quell’assolo
è meraviglioso! Credo che siano la sua passione e il suo "raccontare
una storia" a renderlo straordinario. Mi spiace ma non conosco
"l’attrezzatura".
Su Every
Screaming Ear c’è una cover di When It Blows Its Stacks di Captain
Beefheart. Molta della sua musica ha a che fare con linee indipendenti
e altamente ritmiche: è stato una tua vecchia influenza? (E:
hai ascoltato il box set che è uscito l’anno scorso?)
Sì,
ho preso il box set – mi sono divertito a portarlo con me nel tour con
i Body Parts (il mio duo con lo straordinario batterista Guigou Chenevier).
Avevo il mio laptop e potevamo guardare tutti quei video del primo Beefheart
in formato Quicktime. E’ un gran cofanetto. Ho scoperto Beefheart piuttosto
tardi nella vita, ma lo amavo e lo amo ancora. Un tesoro vivente.
Avendo
avuto un’esperienza di prima mano del periodo in cui gruppi influenzati
da Béla Bartók quali Henry Cow e King Crimson venivano
considerati suonare "musica rock" come vedi lo stato del "rock"
oggi?
E’ una
domanda difficile, dato che di questi tempi non sono davvero al corrente
della scena rock (o di qualunque altra). Nonostante il mio impegno nella
computer music con JMSL e JSyn ecc. provo una grande soddisfazione quando
vedo gente vera che suona strumenti veri davvero forte. Io e la mia
famiglia siamo stati di recente ad Avignone durante il Festival di Musica.
La città era piena di musicisti – quasi ad ogni angolo di strada.
Era meraviglioso vedere quante giovani rock band ci fossero nelle strade,
che suonavano a tutto volume, lavoravano sodo e se la godevano un mondo.
E’ da
un po’ che sei un membro del Fred Frith Guitar Quartet: mi parleresti
di questo rapporto? E anche del tuo album solo, Binky Boy, che credo
mostri un aspetto diverso del tuo lavoro strumentale rispetto alla formazione
dei Doctor Nerve.
Ho lavorato
per la prima volta con Fred quando ha prodotto Armed Observation, ma
l’ho tenuto al corrente del mio lavoro prima di allora inviandogli nastri
della mia musica elettronica (1979/80) e più tardi il mio primo
LP, Now I Do This (1981). Alcuni anni più tardi mi ha invitato
a unirmi a un nuovo quartetto di chitarre con lo scopo esplicito di
realizzare una versione della sua As Usual Dance con un ensemble del
quale sarebbe stato un membro effettivo (il brano era stato scritto
in origine per Les Quatres Guitaristes de l’Apocalypso Bar, del quale
Fred non faceva parte). Il nostro primo lavoro insieme come quartetto
è stato in realtà il pezzo di Fred chiamato In Memory,
che comprendeva anche un quartetto di percussioni e un quartetto vocale.
Quando Mark Howell e io abbiamo contribuito al repertorio con una composizione
ciascuno il gruppo ha potuto allora suonare un set dal vivo. Altri pezzi
si sono aggiunti, il gruppo ha fatto dei tour e ha pubblicato un paio
di dischi di un certo spessore. Up Beat, in special modo, è il
mio disco preferito. Probabilmente perché contiene così
tanto materiale dal vivo, e io associo il gruppo soprattutto allo spirito
e alla follia che fanno parte dei nostri live show.
Binky Boy
è il mio CD tutto di chitarra elettrica che ho pubblicato per
la mia etichetta, Punos Music. E’ il mio primo disco autopubblicato
dopo Now I Do This. Su quel disco ho cercato di spingere l’uso della
chitarra fin dove potevo. Ad esempio, usandola come uno strumento a
percussione, che dal mio punto di vista è un uso molto riuscito
della chitarra. Punta verso tante nuove possibilità che voglio
esplorare con un altro disco.
Binky Boy
è un CD molto forte e personale. E copre molti anni di lavoro.
Black Iris, ad esempio, è il primo pezzo che ho presentato al
quartetto di chitarre. Ha perfino molta preistoria, dato che in origine
era un brano per violoncello, flauto, violino e chitarra, registrato
in modo eccellente da Ann Sheldon, Yves Duboin, Anne Brudevold e me
(tutti membri dei primi Nerve!). La versione su Binky Boy, comunque,
è per quartetto di chitarre. Forse un giorno o l’altro dovrei
decidermi a pubblicare l’originale.
Credo
che qualche lettore sarà curioso di conoscere la genesi dei 44
Nerve Events – e dell’album che ne è poi seguito, Transforms,
The Nerve Events Project…
L’idea
mi è venuta mentre andavo in bicicletta su per una collina lunga
e ripida nel Connecticut. Ricordo bene quel momento. Mi è sempre
piaciuto il gesto in miniatura, e mi sembrava che il medium del CD sarebbe
stato perfetto per un formato del tipo "una traccia per evento".
Credo che il vinile mi mancasse un po’, e quindi cercavo di trovare
delle buone ragioni perché i CD dovessero esistere (ora non ho
più dubbi sul fatto di preferire i CD, comunque). Tanti hanno
usato i 44 Nerve Events da Beta 14 ok direttamente dal disco. Li ho
sentiti spuntare su messaggi di segreterie telefoniche… e tanti radio
artists, in special modo, li hanno graditi. L’idea di portare la cosa
un passo più avanti è venuta quando Steve MacLean (un
componente dei primi Doctor Nerve) e Jason Willett mi hanno mandato
alcuni loro pezzi che incorporavano questi eventi. Così ho fatto
una richiesta a un certo numero di compositori e i risultati sono stati
stupefacenti. Ecco com’è nato il CD Transforms. I tuoi lettori
possono esaminarlo in dettaglio a http://www.ingress.com/~drnerve/nerve/pages/trnsform.shtml
e giocare
con gli eventi stessi a
http://www.ingress.com/~drnerve/nerve/pages/interact/loopmachine/loopmachine.shtml
Transforms
è un disco senza tempo. Credo che sia ancora oggi uno degli utilizzi
più innovativi del campionamento che io abbia mai sentito, dove
il termine campionamento ha da essere inteso nel senso più ampio
possibile. Un lavoro davvero stupefacente fatto da un gruppo di artisti
estremamente diversi tra loro.
Come
ultima domanda vorrei chiederti di altri aspetti del tuo interesse per
i software e i computer, cioè a dire la tua attività di
insegnamento e il tuo interesse per la creazione grafica e di testi.
Di recente
non ho fatto molto per ciò che riguarda testi generati dal computer,
preferendo invece dedicarmi allo sviluppo di un software per la musica
(vedi JMSL più oltre). Però il mio programma CGI, "Dada’s
Little Baby Namer", è un successo sul WWW. Riceve tonnellate
di visite. Il software genera dei nomi bizzarri basati su un processo
statistico applicato a un database di nomi veri. L’ho scritto mentre
mia moglie, Wendy, era incinta del mio primo figlio, che abbiamo chiamato
Leo piuttosto di Drthana o Quchen, ad esempio. A tanti piace, ma ricevo
messaggi da gente che lo odia, il che mi lascia perplesso. C’è
gente che odia davvero il mio software.
Ma mi occupo
ancora di computer grafica, grazie alla mia posizione di programmatore
in un laboratorio di neurobiologia, dove prendiamo delle immagini in
3D di tessuto cerebrale di embrione, le facciamo ruotare nello spazio,
creiamo film in 3D ecc. Cose molto belle. Il mio amore per la computer
grafica riemerge in alcune delle mie applicazioni musicali, specialmente
MandelMusic (che puoi visitare seguendo il link JMSL fornito più
avanti). E il ritratto fatto da Bill Ellsworth della band di Ereia (incluso
nel booklet del CD) che fonde le fattezze dei nostri volti, ha avuto
origine da una versione più semplice che ho scritto e che è
online a http://www.ingress.com/~drnerve/nerve/pages/interact/inyourface/inyourface.shtml
In questo
momento sto lavorando sodo per sviluppare JMSL (Java Music Specification
Language) con Phil Burk. JMSL è il successore Java di HMSL. Mentre
HMSL gira ancora fedelmente sul mio Amiga, quanto a lungo il mio Amiga
durerà è una domanda aperta. Sono rimasto dispiaciuto
e intristito dal vedere l’Amiga scomparire dal mercato mainstream. E’
stata una storia davvero dolorosa: vedere le possibilità di una
tecnologia superiore essere schiacciate da condizioni di mercato idiote.
Ora sono
interessato alla macchina virtuale Java piuttosto che a una macchina
di vero silicio. Java è una tecnologia molto potente, e JMSL
è adesso giunto a uno stadio in cui posso cominciare a fare del
lavoro. Non appena il nostro editor della notazione musicale sarà
funzionante (un progetto davvero arduo!) abbandonerò del tutto
l’Amiga. Sarò allora in grado di comporre col JMSL su qualunque
treno o caffè usando solo il mio laptop e la mia cuffia.
Sto tenendo
un corso alla New York University usando JMSL e JSyn come parte centrale
del corso. Il JSyn è fatto da Phil Burk, e fornisce al programmatore
in Java tutti i mezzi necessari per creare suoni stereo con qualità
CD mediante la costruzione di sintetizzatori virtuali. La combinazione
di JMSL come cornice algoritmica per la musica e il JSyn come fonte
sonora altamente controllabile è spettacolare.
I lettori
interessati possono sapere di più su JMSL a http://www.ingress.com/~drnerve/jmsl/index.html
Su JSyn
a http://www.softsynth.com/
E possono
anche ascoltare e interagire con i pezzi che ho costruito e che sono online (e che richiedono il plug-in JSyn)
a http://www.ingress.com/~drnerve/punos/
Discografia
selezionata
Tutti i
titoli sono su etichetta Cuneiform tranne quando diversamente specificato.
I primi due album dei Doctor Nerve, in origine in formato LP, sono stati
ristampati su un unico CD nel 1992.
DOCTOR
NERVE
Out
To Bomb Fresh Kings (1985)
Armed
Observation (1987)
Did
Sprinting Die? (1990)
Beta
14 Ok (1991)
SKIN (1995)
Every
Screaming Ear (1997)
Ereia
(2000)
AA.
VV.
Transforms:
The Nerve Events Project (1993)
NICK
DIDKOVSKY
Binky
Boy (Punos Music 1997)
FRED
FRITH GUITAR QUARTET
Quartets
(RecRec 1994)
Ayaya
Moses (Ambiances Magnétiques 1997)
Up Beat
(Ambiances Magnétiques 1998)
©
Beppe Colli 2000 – 2003
CloudsandClocks.net
| July 1, 2003