Intervista a
Daniel Denis (2000)
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di Beppe Colli
Aug. 9, 2005
"Gruppo
si riforma dopo tanto tempo, nuovo album delude". Una storia familiare,
giusto? Quindi non ci aspettavamo molto dopo aver sentito che uno dei nostri
gruppi preferiti del panorama Rock In Opposition degli anni settanta e ottanta,
gli Univers Zero, stava per registrare un nuovo album dopo più di un
decennio di silenzio. Sebbene la maggior parte dei fan si dichiarasse soddisfatta
– e alcuni trovassero eccessivamente aspra la nostra recensione di The Hard
Quest (1999) – chi scrive non fu altrettanto entusiasta dei risultati. Non
è che il gruppo fosse diventato "commerciale". Ma quello
che una volta sembrava nuovo e vitale ora suonava manierato, perfino un po’
sterile.
Così pensammo
di fare un’intervista al compositore principale del gruppo (e primus inter
pares), il batterista Daniel Denis. L’intervista fu condotta nel febbraio
2000. Inviammo le nostre domande – in inglese – via e-mail alla Cuneiform,
che gentilmente le inoltrò – via fax – a Daniel Denis. Denis inviò
le sue risposte – in francese – al fax di un nostro amico, che giunse a casa
nostra con alcuni metri di carta – con prosa scritta a mano! Fortunatamente
la calligrafia era molto chiara (ed estremamente elegante: più tardi
Denis ci informò che era quella di sua moglie), quindi niente problemi
di interpretazione del testo. Dopo aver chiarito un paio di punti per telefono
(così scoprendo che l’inglese parlato di Denis era di gran lunga superiore
al francese parlato di chi scrive) traducemmo l’intervista, che apparve sul
# 22, marzo 2000, del mensile italiano Blow Up. (Questa è invece la
prima volta per la traduzione inglese: non molto elegante, ma fedele.)
Nel tempo trascorso
dall’intervista, il gruppo ha pubblicato altri due album: Rhythmix (2002)
e Implosion (2004). Nessuno dei quali potrebbe essere considerato "cattivo"
– ma quel feel da noi giudicato sterile, meccanizzato non è più
scomparso. (Ma un nostro amico che ha visto il gruppo dal vivo lo scorso anno
asserisce di averlo trovato in forma eccellente.) Ovviamente il primo album
il cui ascolto suggeriremmo a chi non avesse mai ascoltato nulla del gruppo
è ancora Ceux Du Dehors. Ma la ristampa (2001) dell’EP Crawling Wind
– per tanto tempo fuori catalogo, e ora con splendide cose nuove (come una
versione live di Thriomphe Des Mouches) ad affiancarsi a vecchi capolavori
quali Central Belgium In The Dark – verrebbe subito dopo.
Nel panorama stilisticamente eterogeneo che siamo soliti racchiudere
sotto il nome-ombrello di Rock In Opposition la produzione discografica
del gruppo belga degli Univers Zero occupa senza alcun dubbio un posto di
riguardo: una musica atipica già a partire dalla strumentazione (oboe,
fagotto, violino, tastiere e una mobilissima batteria), le cui meticolosissime
composizioni sono sovente contraddistinte da atmosfere cupe e opprimenti.
L’esplorazione di questo mondo sonoro non presenta alcuna difficoltà
pratica: tutti i dischi del gruppo sono agevolmente reperibili su CD, un formato
che ha tra l’altro giovato ai primi due album, eliminando quella quota di
cupezza aggiuntiva dovuta alla stampa in vinile. A questo punto sorge probabilmente
la domanda: "sarà pure ‘In Opposition’, ma con quella strumentazione…
che Rock è?". Giusta domanda. E qui dobbiamo fare un passo indietro.
I tre nomi decisivi per questa storia (che riguarda, lo ricordiamo,
l’elaborazione di una musica europea, anche se non è poi mancata un’appendice
in terra statunitense) sono quelli dei Faust in Germania, Henry Cow in Inghilterra e Magma in Francia. Ma dietro c’è l’esplosione
musicale degli anni ’60, con Frank Zappa e Captain Beefheart negli Usa, i
primi Pink Floyd di Syd Barrett e i Soft Machine in Inghilterra nonché
innovatori del jazz quali John Coltrane e Sun Ra e la meditazione sugli insegnamenti
di compositori classici (nel caso dei Magma il riferimento obbligato è
a nomi quali Stravinskij e Carl Orff). Durante gli anni ’70 l’obiettivo dichiarato
è quello di elaborare una musica "rock" (per timbriche, elettrificazione,
lavoro di studio) che pur tenendo conto di influenze quali quelle sopracitate
si riallacci alle tradizioni nazionali dei gruppi, che infatti recuperarono
sovente la propria lingua madre accantonando l’inglese. Questo splendido fermento
fu vivo per parecchi anni in paesi come la Francia, l’Italia, il Belgio, la
Svezia, la Germania – e c’è anche un’onda lunga che riguarda i paesi
dell’est europeo.
Batterista, tastierista e compositore autodidatta, Daniel Denis è
un musicista tipico per l’epoca in cui si forma: alla fine degli anni ’60
suona Hendrix e Cream, esplora poi tempi dispari nel gruppo chiamato Arkham,
partecipa quale secondo batterista a qualche concerto dei Magma di Christian
Vander (una grossa influenza), per poi fondare insieme a Roger Trigaux e Guy
Segers i Necronomicon, che di lì a poco muteranno il nome in Univers
Zero. E’ una musica contraddistinta da forte passione e da non meno forte
controllo esercitato sulla forma. I primi due album – 1313 (’77) e Heresie
(’79) – vedono eccellenti personalità strumentali quali il violino
di Patrick Hanappier, l’oboe e il fagotto di Michel Berckmans e la batteria
di Denis, mentre Roger Trigaux è più decisivo quale compositore
(e tastierista sul secondo album) che non nelle vesti di chitarrista. Ronde
(sul primo album) e La Faulx (sul secondo) sono buoni esempi di quel periodo,
brani dallo sviluppo lento e accurato. Dopo la fuoriuscita di Trigaux e l’ingresso
del tastierista Andy Kirk, un’accresciuta maturazione compositiva, un affiatamento
impeccabile, una grinta impressionante (e una registrazione di cristallina
bellezza) fanno di Ceux Du Dehors (’81) un album che va dritto dritto nella
storia del rock, dai 12′ dell’apertura di Dense, passando per le voci appropriate
di La Corne Du Bois Des Pendus, l’improvvisazione di La Musique D’Erich Zann,
fino alla chiusa firmata Segers di La Tete Du Corbeau. La ristampa su CD aggiunge
uno splendido brano in trio, Triomphe Des Mouches, in origine apparso su un
singolo a tiratura limitata.
(Trigaux formerà i Present; piuttosto convincenti, e prossimi
alla dimensione estetica del gruppo di provenienza – anche per la presenza
batteristica di Denis – sono Triskaidekaphobie (’80) e Le Poison Qui Rend
Fou (’85), poi riuniti in un unico CD. Da evitare C.O.D. Performance (’93),
mentre Live! (’96) si consiglia soprattutto per la presenza del grande batterista
progressivo statunitense Dave Kerman (5 uu’s, Thinking Plague) e Certitudes
(’98) riunisce l’asse ritmico Denis/Segers ma non riesce a nascondere stanchezza
e manierismi.)
L’apparizione di Uzed (’84), successiva al maxi Crawling Wind (’83)
che non ci risulta ristampato, dice che molto è cambiato. Non ci sono
più oboe e violino, mentre compaiono i clarinetti e il sassofono di
Dirk Desceemaeker, il violoncello di Andre Mergen e soprattutto le tastiere
di Jean-Luc Plouvier. C’è chi considera questa nuova dimensione sonora
inferiore alla precedente; è indubbiamente meno "asciutta",
ma crediamo che le composizioni mostrino una (convincente) evoluzione da parte
di Denis, e i nuovi colori strumentali ci sembrano ben servirle. Heatwave
(’87) è l’ultimo atto; tornano Kirk e Hanappier, si aggiunge una chitarra;
Chinavox è convincente esempio di brevità, Bruit Dans Les Murs
per chi scrive vale il disco, tipica Heatwave; forse troppo lungo per le cose
che ha da dire il brano di Kirk The Funeral Plain.
"Non eccessivo successo commerciale": va bene come eufemismo?
Un’occhiata alle date di pubblicazione ci dirà della "splendida
inattualità" di questa musica rispetto al clima del periodo in
cui apparve; una musica che per essere veramente viva necessita tra l’altro
di un collettivo affiatato formato da spiccate individualità.
Denis incide due album solisti – Sirius And The Ghosts (’91) e Les
Eaux Troubles (’93), ambedue in catalogo – mentre prosegue la collaborazione
col gruppo francese degli Art Zoyd, iniziata durante il decennio precedente.
Ed è un peccato, perché questa musica ha ancora molto da dire
(e quanto neoclassicismo molto meno convincente – ma più blasonato
– è venuto fuori nei ’90!). The Hard Quest (’99) è un album
che ha visto valutazioni diverse da parte dei fan del gruppo, alcuni dei quali
hanno trovato eccessivamente severa la recensione apparsa su queste pagine
(vedi BU # 19). A questo punto non restava che parlare direttamente con Denis,
per quella che ci ha detto essere la sua prima intervista italiana. (Il suo
inglese e il nostro francese orali – ugualmente "validi" – hanno
fatto sì che l’intervista si svolgesse prevalentemente per iscritto:
domande in inglese, risposte in francese… et voila!
Un
nuovo album degli Univers Zero, a tredici anni da Heatwave… una grossa sorpresa!
La prima sorpresa era stata, per me, la tua partecipazione a Certitudes dei
Present – insieme a Roger Trigaux e Guy Segers – molto tempo dopo Triskaidekaphobie
e Le Poison Qui Rend Fou. E allora: vuoi parlarmi di come sei pervenuto alla
decisione di riformare il gruppo?
Il
fatto che io abbia partecipato a Certitudes non è una sorpresa. Quando
dopo alcuni anni di assenza ha riformato i Present, Roger mi ha proposto di
partecipare nuovamente al gruppo; ma io non desideravo più impegnarmi
come in passato, e di conseguenza Roger ha fatto ricorso a Dave Kerman, il
quale mi ha progressivamente sostituito. Col passar del tempo mi sono reso
conto che Roger ed io non abbiamo le stesse idee sul da farsi. Ho dunque smesso
definitivamente di lavorare con lui.
Effettivamente
era da molto tempo che avevo intenzione di fare un disco a nome Univers Zero.
Credo che la molla sia stata il fatto che un giorno Michel Berckmans mi ha
chiamato proponendomi di lavorare di nuovo insieme (senza fare riferimento
agli Univers Zero). Ho sempre pensato che Michel, in virtù dell’uso
dei suoi strumenti, fosse molta parte del suono degli Univers Zero degli inizi.
E ciò mi ha spinto a comporre nuovamente per questi strumenti acustici
e a ritrovare l’atmosfera del gruppo degli inizi, aggiungendovi di tanto in
tanto qualche elemento di suoni campionati. All’epoca in cui c’era stato un
tentativo di riformare gli Univers Zero – nel 1996, con Segers e Kirk – mi
sono reso conto che stavamo seguendo una strada sbagliata, e che quella formazione
era stata messa insieme troppo superficialmente. Quelli non erano veramente
gli Univers Zero. Ho quindi preferito fermare le cose dopo un solo e unico
concerto al Festival di Victoriaville, in Canada.
La
nuova formazione comprende ex membri degli Univers Zero – Michel Berckmans
e Dirk Descheemaeker – Reginald Trigaux dei Present e Igor Semenoff (dei…?).
Quali sono le ragioni per le quali hai scelto proprio loro?
Per
quanto riguarda la scelta di Michel ti ho già spiegato le circostanze
in cui è avvenuta. I brani previsti per il disco sono stati composti
per fagotto, oboe, clarinetto e violino; ho subito pensato a Dirk Descheemaeker,
che è un musicista eccezionale con il quale provo sempre un grande
piacere a lavorare. Dirk fa anche parte di un ensemble belga di musica contemporanea
chiamato Ictus. Ne fanno parte anche Jean-Luc Plouvier e Igor Semenoff. Igor
mi è stato proposto da Michel Berckmans, e si è detto subito
d’accordo. Ne sono stato felicissimo. Quanto a Reginald le circostanze hanno
fatto sì che egli fosse disponibile per fare tutte le parti di basso.
Io lo sapevo molto diligente, e disponibile a fare quel lavoro. E’ un musicista
molto dotato, ma mi rincresce il fatto che lui non "esca" in nessun
modo dall’ambiente musicale di suo padre, e che non abbia l’occasione di esplorare
differenti orizzonti musicali con altri musicisti.
Qualora
paragonati a quelli presenti sui precedenti album degli Univers Zero tutti
i brani di The Hard Quest, fatta eccezione per Xenantaya, sono abbastanza
brevi… C’è una ragione precisa alla base del tuo preferire questa
lunghezza più contenuta?
Mi
rendo conto di essere sempre più attratto da pezzi molto brevi che
cerchino di esprimere l’essenziale in poco tempo. Non sono più molto
attirato dagli sviluppi lunghi. Penso di comprendere molto bene che le lunghezze
siano necessarie quando ci sia la volontà di ottenere un clima o una
tensione ossessiva per mezzo della ripetizione ma questo non era l’intento
desiderato per il disco. Il concetto della lunghezza si giustifica meglio
nella cornice del concerto. La dimensione "live" è maggiormente
propizia a sviluppare più a lungo i climi, aiutando così il
pubblico a recepire meglio questa musica.
Quando
ascoltiamo un nuovo album di un gruppo che ci ha dato tanto in passato non
possiamo evitare di paragonarlo alle cose fatte in precedenza; direi che nel
caso di The Hard Quest i brani abbiano un minore elemento di interplay strumentale
che in passato, e che forse sotto questo aspetto essi siano più simili
a realizzazioni presenti su tuoi album solisti quali Sirius And The Ghosts
– cioè a dire mi pare che le composizioni siano state realizzate con
mezzi di computer sequencing, e che gli strumentisti abbiano suonato le loro
parti in seguito…
E’
evidente che il lavoro su The Hard Quest è del tutto differente se
paragonato a quello effettuato sui dischi precedenti degli Univers Zero. All’epoca
il gruppo esisteva, e nella maggior parte dei casi i concerti e le prove del
gruppo permettevano di fare evolvere i brani fino alla maturità. Ed
era allora che noi potevamo entrare in studio.
Per
The Hard Quest è accaduto l’inverso. Ho preparato in anticipo tutto
il lavoro, fino ai minimi dettagli. Le potenzialità dei musicisti presenti
sul disco sono state estremamente decisive per la musica, vista la loro capacità
di assimilare molto rapidamente le loro parti.
La
mia grossa preoccupazione è stata soprattutto al momento in cui ho
appreso del rifiuto dell’aiuto finanziario che avevo chiesto presso il Ministero
della Comunità Francese del Belgio, e tutto ciò proprio nel
momento in cui la registrazione era già iniziata. A quel punto grazie
al sostegno di Steve Feigenbaum della Cuneiform e a quello di Gerard Hourbette
(dello Art Zoyd Studio) mi è stato permesso di ultimare serenamente
il disco.
Se
non ti spiace vorrei tornare un po’ indietro nel tempo. Nel 1978 gli Univers
Zero parteciparono, insieme a Henry Cow, Stormy Six, Etron Fou Leloublan e
Samla Mammas Manna, al primo Festival di Rock In Opposition tenutosi a Londra:
cosa ricordi di quell’esperienza? Nel suo libro File Under Popular Chris Cutler
ha scritto: "Al RIO Festival di Londra essi divisero il pubblico più
di ogni altro gruppo." Posso chiedertene la ragione?
L’idea
di Rock In Opposition, malgrado fosse troppo politicizzata ai miei occhi,
è stata una buona idea al fine di riunire tutti i gruppi aventi certi
aspetti in comune e di dare a ciascuno di essi l’occasione di uscire dalle
proprie frontiere. Non riesco a ricordare se gli Univers Zero siano stati
particolarmente apprezzati a Londra. E’ possibile che il pubblico sia stato
sedotto dalla prestazione di un gruppo molto coerente ed anche che ciò
sia stato dovuto all’originalità di una musica che proponeva una strumentazione
assai poco convenzionale. Siamo stati senza alcun dubbio molto motivati a
fare un concerto a Londra, un concerto che è stato, credo, uno dei
primi che il gruppo abbia effettuato fuori dal Belgio.
(Essendo
passato molto tempo da quella data per certi versi storica abbiamo chiesto
ulteriori delucidazioni a Chris Cutler, il quale ci ha così risposto:
"Forse perché loro sembravano differenziarsi in modo deliberato
dagli altri gruppi? Composizioni austere, tutti i componenti vestiti di nero,
una performance piuttosto sinistra, ossessiva…")
La
musica degli Univers Zero ha sempre avuto una personalità molto forte
– qui potrei usare aggettivi quali: teso, intenso, scuro. E se non vado errato
il primo nome del gruppo era Necronomicon. Vorrei chiederti come vedi la relazione
tra le tue composizioni e gli elementi pittorico-visuali che esse evocano.
A volte questa relazione è stata molto specifica, penso ad esempio
a La Musique D’Erich Zann, su Ceux Du Dehors (ed anche il titolo dell’album?),
o a Bruit Dans Les Murs, su Heatwave – parecchio tempo fa ho letto questo
racconto, e mi sembra proprio che la composizione segua la storia in maniera
molto specifica…
Durante
un certo periodo la letteratura, la pittura e altre forme artistiche che si
riferivano al fantastico, all’occulto e al simbolismo mi sono state di grande
ispirazione nel comporre, e allo stesso modo sono stato molto affascinato
dalla maniera in cui gli uomini del Medio Evo concepivano l’arte, per ciò
che riguarda l’architettura, l’arredamento e altro. Cercavo dunque di lavorare
facendo riferimento a queste forme dello spirito.
Per
ciò che concerne La Musique D’Erich Zann, mentre eravamo in studio
per registrare Ceux Du Dehors la mia idea è stata quelle di fare un
piccolo pezzo improvvisato basato sul racconto di Lovecraft. Dato che il racconto
è molto breve ho chiesto a ciascun membro del gruppo di leggerlo attentamente.
Non appena tutti l’hanno letto abbiamo registrato immediatamente il brano.
E
che mi dici di Bruit Dans Les Murs, non è stato ispirato da un racconto
di Lovecraft?
No…
il titolo ha a che fare con le storie di fantasmi… sai, quando ci sono tavoli
che si muovono, e presenze che passano attraverso i muri… cercavo un
titolo da dare al brano e mi è venuto in mente quello.
E’
strano, perché ho letto questo racconto tanto tempo fa – in italiano
ha lo stesso titolo del brano – e mi sembrava che la trama fosse rispecchiata
nella composizione…
No,
non lo conosco, è solo una coincidenza… conosci Il settimo sigillo,
il film di Bergman? Quando l’ho visto sono stato colpito dalla somiglianza
col nostro brano La Faulx, su Heresie, ce l’hai presente?
L’ho
ascoltato proprio stamattina… a proposito, che vuol dire La Faulx? Sul vocabolario
ho trovato La Faux , credo voglia dire La Falce…
Sì,
è francese antico.
Da
dove viene il nome Univers Zero?
Il
nome viene dal titolo di una raccolta di racconti di un autore belga, Jacques
Sternderg; sono racconti non proprio di fantascienza, ma più vicini
alla fantascienza che al fantastico.
Ricordo
di aver letto da qualche parte dell’influenza esercitata su di te da un compositore
belga…
Sì,
Albert Huybrechts… è morto nel ’38… ’39… non è molto conosciuto.
Vorrei
chiederti qualcosa sul ruolo delle tastiere nella nuova formazione degli Univers
Zero: su Ceux Du Dehors alle tastiere c’era Andy Kirk, su Uzed c’era Jean-Luc
Plouvier, su Heatwave tutti e due – sotto questo aspetto Heatwave è
stato, direi, l’album sul quale le tastiere e la ricerca sui timbri hanno
avuto il ruolo più prominente. Sul nuovo album tu hai suonato le tastiere:
chi coprirà le tue parti in concerto?
Ho
suonato io tutte le parti di tastiere elaborandole e mettendole a punto sul
mio computer (che utilizzo soprattutto come registratore). I suoni sono stati
in seguito rimodellati e rilavorati in studio e hanno permesso di servire
da base per l’aggiungersi degli altri strumenti. Ognuno di noi ha dunque suonato
separatamente le sue parti in periodi diversi del lavoro di registrazione.
Devo dire che noi non abbiamo mai registrato tutti insieme nemmeno sui dischi
precedenti degli Univers Zero. In particolare, la batteria è stata
molto spesso registrata quale ultimo elemento. Questo mi permetteva di rifinire
le mie parti il più precisamente possibile in rapporto alla musica,
libero di cambiare certi piani all’ultimo momento.
Gli
Univers Zero di The Hard Quest per adesso non esistono che su quel disco.
Al momento attuale non sono ancora sicuro se in avvenire gli Univers Zero
faranno dei concerti.
All’inizio
la mia idea era quella di fare uscire un nuovo CD e di dare così inizio
a una serie di concerti. Ma tutto ciò necessita di mezzi finanziari
conseguenti che al momento mancano, di un management efficiente e coraggioso
e di una disponibilità molto ampia da parte dei musicisti.
In
aggiunta a ciò, i problemi finanziari senza fine e il mancato riconoscimento
da parte del proprio paese. Sono tante cose tutte insieme.
Vorrei
farti un paio di domande sulla batteria: in una vecchia intervista apparsa
sulla rivista francese Notes hai detto che quando hai iniziato a suonare ti
piacevano la Jimi Hendrix Experience (con Mitch Mitchell), i Cream e i Pink
Floyd di Syd Barrett. Nella stessa intervista citavi Mike Giles dei King Crimson,
Tony Williams, Christian Vander, John French (Drumbo) del gruppo di Captain
Beefheart, Robert Wyatt e Vinnie Colaiuta del gruppo di Frank Zappa. Mi parleresti
di come sei arrivato al tuo stile batteristico tanto personale, così
propulsivo e tuttavia, allo stesso tempo, non così distante da un percussionista
di un’orchestra?
Tutti
quei batteristi che ho citato mi hanno convinto che la batteria era molto
di più di una macchina ritmica, che è il modo in cui essa è
stata troppo spesso utilizzata nella maggior parte della musica di oggi. La
batteria è uno strumento completo, che costituisce una fonte illimitata
d’inventività melodica e ritmica. Sono soprattutto lo spirito, l’energia
e l’intelligenza del batterista ad essere essenziali.
Non
mi è mai stato facile – e non lo è tuttora – integrare la batteria
nella musica che compongo. Curiosamente, non penso mai in primo luogo alla
batteria. E questa può forse essere una delle ragioni per cui a volte
utilizzo la batteria con un concetto più vicino alla percussione orchestrale.
Sono spesso prudente e faccio molta attenzione a non mascherare mai le armonie
e i colori sottili degli strumenti acustici con un’invasione di batteria che
avrebbe l’effetto di appiattire tutte le sfumature. Il mio linguaggio personale
per ciò che riguarda la batteria si è trasformato con il trascorrere
del tempo, con il lavoro e con il mutare della musica. E tuttavia io mi sento
sempre un batterista rock, anche se a dire il vero ciò non è
più molto evidente. D’altra parte mi auguro di formare un trio chitarra,
basso e batteria e di riprendere soprattutto quella matrice rock e jazz degli
anni 60/70.
Nel
panorama di Rock In Opposition c’erano molti batteristi a mio avviso ottimi:
Hans Bruniusson (Samla Mammas Manna), Guigou Chenevier (Etron Fou Leloublan),
Charles Hayward (This Heat, Camberwell Now), J. Pippin Barnett (Curlew, Nimal)…
Chi credi stia facendo oggi un buon lavoro?
Devo
dire che in materia di musica veramente attuale non ascolto più molto
e quindi non sono troppo al corrente dei percorsi di certi batteristi.
Ho
molto apprezzato il lavoro che Charles Hayward ha fatto con i This Heat e
i Camberwell Now, ed anche il suo primo CD da solo. (Non conosco gli altri
suoi dischi.)
A
questo proposito, sono stato molto rattristato dalla morte di Tony Williams,
che io considero come il più grande batterista fino ad oggi.
Oggi
il ritmo è incredibilmente importante nella musica; qual è la
tua opinione di generi quali il drum’n’bass e la techno?
E’
di una povertà inaudita, come tutto quello che è prefabbricato
per il profitto.
E’
una cosa che ha più a che vedere con l’abbrutimento collettivo che
non con una cosiddetta musica fatta per ballare.
E’
come l’incalzare delle pubblicità che passano senza sosta alla televisione.
E’ sicuramente una delle migliori maniere di addormentare la gente.
Che
progetti personali hai in cantiere, oltre agli Univers Zero?
Continuo
sempre a collaborare con gli Art Zoyd, in qualità di percussionista
elettronico, e molti progetti sono in corso di realizzazione quest’anno. Stiamo
iniziando per il terzo anno consecutivo la collaborazione tra gli Art Zoyd
e l’Orchestra Sinfonica di Lille che va sotto il nome di Dangereuses Vision
III, tre concerti unici che comprendono dei brani originali creati per orchestra
sinfonica e gli Art Zoyd; inoltre verranno suonate varie composizioni esterne
al gruppo – l’anno scorso è stato eseguito, tra l’altro, un brano composto
da Heiner Goebbels. Gerard Hourbette degli Art Zoyd effettua un lavoro molto
interessante nell’utilizzazione delle nuove tecnologie: gli Art Zoyd sono
diventati da parecchio tempo un punto di riferimento in questo campo, e i
suoi progetti si basano pressoché interamente sulla fusione dell’orchestra
e di un’elettronica elaborata, talvolta con l’apporto di immagini video. E’
possibile che in un prossimo futuro io sia invitato a comporre anche per gli
Art Zoyd, ma questa è un’altra storia…
© Beppe Colli 2000 – 2005
CloudsandClocks.net | Aug. 9, 2005