Intervista a
Chris Cutler (2008)
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di Beppe Colli
Dec. 18, 2008
Come già recentemente scritto in sede di recensione, la nostra
prima reazione nell’apprendere dell’imminente pubblicazione di un mega-cofanetto
contenente ben nove CD e un DVD-V con due libri a corredo dedicato alla dimensione
concertistica dei gloriosi e mai dimenticati Henry Cow in occasione del 40°
anniversario della fondazione del gruppo è stata di assoluta incredulità:
tutta questa roba? Ma anche la seconda: e adesso chi se lo compra?
Frattanto, gettando ogni cautela al vento, la ReR – da sempre
indiscussa Campione di Tempismo – annunciava quale data d’uscita il dicembre
di quest’anno. Ma essendo la ReR da tempo immemore anche un’indiscussa Campione
di Inefficienza, viene fuori (ma c’era da aspettarselo) che il cofanetto
non è pronto.
E’ certo che una cosa simile sa davvero di ultima spiaggia.
Da un lato, è vero che la musica del gruppo regge benissimo la distanza (e
qui poco importa decidere se per meriti propri o per demerito di quanto è
venuto dopo), mentre siamo assolutamente certi che il buon Chris Cutler (l’ex
batterista del gruppo e padrone della ReR artefice dell’operazione) avrà
fatto tutto il possibile per rendere le cose interessanti e il suono dignitoso
o eccellente, stante la qualità variabile del materiale di partenza.
Dall’altro, è vero che moltissima acqua è passata sotto i
ponti, e per più di un verso. Detto dell’incognita "vecchi fan"
(saranno ancora interessati? saranno ancora lì?), e dell’ineliminabile problema
"nuovi arrivi" (a parere di chi scrive il neofita dovrebbe necessariamente
partire dai primi tre album di studio e da Concerts), è il modello di consumo "mordi
e fuggi" tipico dei tempi moderni a rendere improbabile un’esplorazione
accurata dello stesso "oggetto" su una durata di dieci ore.
Un bell’azzardo, quindi, al quale il Fato ha aggiunto una
nuova incognita: a fronte di un prezzo di vendita del box che diremmo davvero
conveniente, il recente deprezzamento della sterlina nei confronti sia del
dollaro che (somma umiliazione!) dell’euro ha ridotto i già esigui margini
di profitto dell’operazione (com’è noto, da tempo la ReR fa stampare i propri
materiali all’estero).
Con spiazzante paradosso, il Vol. 6 del cofanetto, intitolato Stockholm & Göteborg e pubblicato quale ideale "sampler", si rivelava occasione di più di una perplessità, da un suono così così a una quantità di errori di accreditamento davvero inspiegabile
(e non poco indisponente).
Non ci restava che parlare con Cutler.
Sono abbastanza certo del fatto che ormai da qualche giorno
tutti quelli che hanno prenotato il cofanetto degli Henry Cow tengono d’occhio
la buca delle lettere con un sentimento di anticipazione, aspettandosi
che esso faccia capolino… da un momento all’altro. Ma noi sappiamo che
non è così, vero?, e che il cofanetto non dovrebbe essere spedito prima
di… metà gennaio? Vuoi dirmi qualcosa in proposito?
Sì, è così. All’ultimo momento abbiamo trovato dell’altro materiale,
e sarebbe stato assurdo non includerlo nel cofanetto – il che ha implicato
la modifica di alcune cose e un po’ di lavoro di re-design. Dato che lo
faremo una volta sola, è ovvio che cerchiamo di farlo meglio che possiamo.
Fortunatamente la gente che ci conosce sembra avere una scorta illimitata
di pazienza e di comprensione, e così finora non abbiamo ricevuto lettere
irate. E dopo queste modifiche il cofanetto sarà davvero migliore.
Ovviamente coloro i quali
hanno aderito alla sottoscrizione per il cofanetto costituiscono un’esigua
minoranza qualora paragonati a quanti non ne sanno niente e a coloro ai
quali non importa nulla. Cosa diresti a questa gente, cos’è che rendeva
tanto speciali gli Henry Cow?
Di tutti i gruppi inglesi degli anni settanta siamo stati quelli che
si sono spinti più lontano nel creare un’entità estetica integrata e coerente
che comprendeva elementi di rock, di improvvisazione libera e di musica
contemporanea con ampio uso di partitura – anche se a causa della nostra
mancanza di fedeltà a ogni stile musicale inteso come entità separata ci
siamo venuti a trovare in una posizione strana da un punto di vista sociale:
quella di non appartenere ad alcuna generica comunità di musicisti, pur
essendo accettati da tutti i tipi di pubblico (eravamo invitati a suonare
a festival jazz, festival rock e manifestazioni di moderna musica classica
come se appartenessimo a ciascuno di quei mondi). Le nostre composizioni
potevano essere estremamente complesse, oserei dire più complesse di ogni
altro gruppo europeo di quel tempo – o anche successivo – e le nostre improvvisazioni
(che costituivano all’incirca il 40% di ogni nostro concerto) erano estremamente
radicali e non-generiche. In aggiunta a ciò, avevamo delle posizioni apertamente
politiche senza che ciò facesse sì che la nostra estetica musicale fosse
compromessa dall’adesione ad alcun dogma; e abbiamo seguito il nostro cammino
senza alcun riguardo per le possibili conseguenze. Cosa poco usuale per
quei tempi, i nostri componenti (incluso il personale tecnico) erano di
sesso maschile e femminile in ugual numero. In un certo senso siamo stati
un vicolo cieco dato che ci siamo spinti a creare un nuovo amalgama musicale
sul quale nessuno ha poi voluto costruire (o che la storia si è lasciata
alle spalle). Potrete farvi la vostra idea non appena il cofanetto sarà
pubblicato.
Il primo LP degli Henry
Cow è apparso nel 1973, e da quel che capisco il materiale più vecchio
incluso nel cofanetto data al 1971, quindi perché questo
"40th Anniversary"? Mi sembra una cifra tonda in modo sospetto…
Non c’è niente di sospetto
in proposito: gli Henry Cow si sono formati a Cambridge nel 1968. Sono quarant’anni.
Devo ammettere che all’inizio non ci furono così tanti concerti (tutto questo
è raccontato in dettaglio nel libro che accompagna il volume 1) e ci volle
un bel po’ di tempo perché trovassimo un nostro linguaggio personale – quindi
non diventammo musicisti professionisti fino al 1971 – però il gruppo fu
formato davvero nel 1968.
Nel foglio di accompagnamento
che ho qui si dice: "(…) questa raccolta fornisce per la prima volta
un’idea dell’ampiezza e della profondità del lavoro degli Henry Cow".
Ma allora perché avete aspettato tutto questo tempo a farlo, dato che il
numero di coloro i quali sono interessati a questo tipo di cose "difficili" diminuisce
ogni anno che passa?
Sono successe molte cose
da quando ci siamo sciolti trent’anni fa, e – cosa forse poco comune – ogni
ex componente degli Henry Cow ha proseguito producendo una ricca varietà
di altro lavoro musicale, sia in proprio che come partecipante ad altri progetti.
Per molti anni siamo stati tutti troppo occupati per guardare indietro; e
alcuni di noi hanno avvertito il bisogno di sfuggire all’eredità degli Henry
Cow – e al passato – in modo che il lavoro che facevamo al presente fosse
preso sul serio. Durante questo periodo ci sono state delle richieste che
il gruppo si riformasse, e sono state tutte respinte. Il tempo è trascorso.
Abbiamo messo radici nel presente. Ora possiamo guardarci indietro e vedere
che quello che abbiamo fatto in quei primi giorni ha ancora un valore; gli
sviluppi seguenti non lo hanno reso obsoleto. Anzi, invece di essere lasciato
indietro, il nostro lavoro sembra avere guadagnato coerenza in questo nuovo
ambiente che da un punto di vista sperimentale è più arido e meccanizzato.
E’ sembrato un buon momento per riflettere su tutto questo. E molto di quello
che avevamo fatto non era stato mai documentato formalmente, quindi a quarant’anni
di distanza è sembrato che fosse un buon momento per tirare le somme e preparare
un documento esaustivo della nostra vita lavorativa. Ecco perché sono 10
CD. Per quello che riguarda il pubblico: beh, pubblico e mode vanno e vengono,
e quello che è visibile è sempre una distorsione: quando devi valutare il
valore di una cosa non puoi essere guidato dalla popolarità. In senso proprio,
questo cofanetto esiste perché è quello che gli artisti fanno: produrre lavori
– ovviamente allo scopo di intrattenere chiunque possa essere interessato,
ma allo stesso tempo allo scopo di lanciare nel mondo suggerimenti e oggetti.
E’ tutto: non abbiamo cercato di intercettare una domanda, immaginata o reale
che fosse, o di avere una seconda chance di essere popolari, vogliamo solo
mettere il nostro lavoro nelle condizioni di continuare a lavorare, perché
le sue potenzialità non sono ancora esaurite.
Di nuovo il foglio d’accompagnamento: "Gli
LP ufficialmente pubblicati raccontano ben che vada metà della storia,
e uno degli scopi di questa raccolta definitiva è quello di inserire il
lavoro già conosciuto in un contesto più ampio", cosa che suona più
o meno come quello che Robert Fripp aveva in mente nel 1992, al tempo della
pubblicazione del cofanetto dal vivo dei King Crimson intitolato The Great
Deceiver. Ritieni – o speri – che la pubblicazione di questo cofanetto
degli Henry Cow riceverà la stessa quantità di attenzione?
Temo di aver completamente mancato il cofanetto dei King Crimson, quindi
non c’è molto che io possa dire in proposito. Quanta attenzione ha ricevuto?
A ogni modo non vorrei misurare gli Henry Cow in rapporto ai King Crimson,
o perfino comparare i due gruppi. Sono due cose completamente diverse.
Parlando dei King Crimson,
mi pare di ricordare (ma potrei sbagliarmi) che almeno alcuni membri degli
Henry Cow non fossero molto contenti del fatto che la stampa lodasse i
King Crimson per aver introdotto l’improvvisazione concertistica nel rock
senza nemmeno prendersi la briga di citare gli Henry Cow.
A quel tempo non facevamo alcun affidamento su giornalisti che si limitavano
a ripetere quello che i manager dei gruppi scrivevano nei comunicati stampa.
L’improvvisa scoperta dell’improvvisazione da parte dei Crimson fu molto
pubblicizzata come qualcosa di mai sentito per un gruppo rock. Dal momento
che gli Henry Cow l’avevano fatto per anni, non ne siamo rimasti granché
impressionati. I giornalisti non hanno scuse per il fatto di essere pigri
e ignoranti, e neppure i gruppi per quanto riguarda il conoscere così poco
il loro campo, o per permettere che i loro addetti stampa scrivano sciocchezze
– è quello che Sartre chiamerebbe malafede.
Sono certo che hai sentito
le voci secondo le quali Neil Young non è tanto sicuro che nel mercato
di oggi la sua prevista collezione sotto forma di cofanetti possa avere
molti acquirenti. Il foglio che annuncia il cofanetto degli Henry Cow dice: "E’
un milione di volte meglio dei terribili bootleg che ci sono in giro",
affermazione alla quale qualcuno potrebbe replicare che questi bootleg
sono gratis e tutti li possono scaricare, quindi…
Se preferisci scaricare
gratis cose di cattiva qualità piuttosto di pagare un prezzo normale per
cose di alta qualità allora probabilmente non ti importa davvero tanto della
musica, e quindi non l’apprezzerai; allora questo cofanetto non è per te.
A parte questo, e le questioni morali, queste idee sembrano mostrare che
l’idea di Regan/Thatcher che IO è l’unico concetto intellegibile è ormai
diventata un’ortodossia, insieme a "i soldi parlano" e "la
qualità è per gli uccelli". Comprerò io il cofanetto di Neil Young.
Possiamo affondare insieme.
Ovviamente mi aspetto
che i libretti del cofanetto avranno almeno alcune foto del famoso autobus
usato dal gruppo, vero eroe misconosciuto della storia degli Henry Cow.
A proposito di ciò: ritieni che nel clima di oggi – sia economico che culturale
in un senso più generale – qualcosa come gli Henry Cow sarebbe materialmente
concepibile?
No. Perfino quando guardo le somme che guadagnavamo a quel tempo, erano
molto più alte dell’equivalente di oggi (tenendo ovviamente conto dell’inflazione)
e allora c’era un pubblico per gli esperimenti e per quello che era meno
solito. Negli anni sessanta la musica pop cambiava radicalmente ogni pochi
anni e forme nuove catturavano costantemente attenzione – e un pubblico;
oggi abbiamo l’hip-hop che continua incessantemente da quasi trent’anni
– presumibilmente perché in seguito non è venuto niente di più interessante.
La struttura che ieri ha incoraggiato e dato energia all’innovazione oggi
non esiste più, e l’infrastruttura dei locali e degli organizzatori
si è rattrappita allo stesso modo. In un tale clima, sono certo che un
gruppo come gli Henry Cow avrebbe molte più difficoltà di quelle avute
nei primi anni settanta.
Ormai conosciamo bene
i molti errori che c’erano sulla copertina del Vol. 6. Ne hai trovati ancora
– voglio dire, sugli altri CD, e nei libretti del cofanetto?
Spero di sì.
Il foglio di accompagnamento
dice: "c’è molta documentazione scritta, (…) e testi." Sono
davvero curioso riguardo le discussioni tra i membri del gruppo a proposito
di questioni musicali e logistiche. Ci sono testi in proposito? (E’ stato
detto che i membri dei Gentle Giant erano soliti discutere in modo piuttosto
acceso in camerino gli errori appena fatti sul palco…)
Non molto, ci sono le minute di uno dei nostri incontri settimanali,
il che dà un’idea di quello che discutevamo, ma sebbene parlassimo molto
di arte e musica, e a volte del modo di presentarci, per quanto io possa
ricordare non criticavamo le nostre esecuzioni.
Anche se sono certo che
i libretti ne parlano, sono sempre stato curioso a proposito del processo
che portò il gruppo a scegliere musicisti di non grosso peso (relativamente
parlando) come un rimpiazzo per virtuosi, e questo non una volta sola,
ma due. Il caso di Georgie Born ("che suonava tutto staccato",
mi ricordava di recente un amico) essendo davvero strano.
Due? Chi consideri essere l’altro musicista di poco peso? Non sono affatto
d’accordo con la tua caratterizzazione di Georgie, e definire il suo modo
di suonare come "suonare tutto staccato" prova solo che il tuo
amico è sordo – cosa che verrà confermata dall’ascolto del secondo box
del cofanetto.
Mi pare di ricordare
che ti piacessero gli Steely Dan degli anni settanta, ma non mi pare di
ricordare di aver visto il nome di quel gruppo menzionato in una delle
(pochissime) interviste agli Henry Cow che ho avuto modo di leggere a quei
tempi. Ricordi altri nomi "atipici, non menzionati" di gruppi/artisti
che a quel tempo piacevano agli altri membri del gruppo?
Abbiamo parlato raramente con la stampa della musica che ci piaceva –
dato che ci è stato chiesto raramente (il "Band File" del Melody
Maker è stato una rara eccezione); ed è stato troppo tempo fa per dire
a chi piaceva cosa con un minimo di certezza, ma tutti ascoltavamo molta
musica, di tutti i tipi, senza steccati di genere. E discutevamo molto
di musica. A me piacciono gli Steely Dan; credo che piacciano anche a Fred
– ma non saprei dire per quanto riguarda il resto del gruppo, molto probabilmente
agli altri non piacevano. Avevamo gusti molto diversi, e avevamo anche
molte cose in comune.
© Beppe Colli 2008
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