Intervista
a
Barney Hoskyns (2003)
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di Beppe Colli
May 20, 2003
Il nome di Barney Hoskyns risulterà senz’altro familiare a chiunque
abbia frequentato la stampa musicale rock nel corso degli ultimi vent’anni.
Negli anni ottanta Hoskyns ha scritto per Melody Maker e New Musical
Express, in seguito per quotidiani anglosassoni quali The Times, The
Guardian, The Independent, The Observer. Negli anni novanta è
stato prima Associate Editor e poi U.S. Bureau Chief del mensile Mojo,
collaborando allo stesso tempo a periodici statunitensi quali Spin e
Rolling Stone.
Tra i libri da lui scritti: Waiting for the Sun: Strange Days, Weird
Scenes & the Sound of Los Angeles; Glam! Bowie, Bolan & the
Glitter Rock Revolution; e Across the Great Divide, su The Band.
Nel 2000 Hoskyns ha fondato Rock’s Backpages, archivio online
di articoli storici sulla musica rock del quale chi scrive è
da tempo un abbonato.
Recentemente Hoskyns ha curato The Sound & the Fury: A Rock’s Backpages
Reader (Bloomsbury), una raccolta di articoli firmati da alcuni giornalisti
presenti sul sito. Avendo letto la sua introduzione al libro, abbiamo
deciso che alcuni dei punti discussi meritavano senz’altro un’intervista.
Gli abbiamo quindi inviato un messaggio via e-mail, e Hoskyns si è
detto senz’altro disponibile a rispondere ad alcune domande.
Le domande sono state inviate il 12 maggio, le risposte sono pervenute
una settimana più tardi.
Ho letto la tua introduzione a The Sound & the Fury: A Rock’s
Backpages Reader, e vorrei rivolgerti qualche domanda a proposito di
alcune delle cose che hai scritto.
Scrivi: "La triste verità è che il giornalismo rock
è diventato poco più di un’industria di servizio, con
pochissima autonomia critica e perfino minore senso di responsabilità
nei confronti dei suoi lettori. Siamo tutti diventati complici, ognuno
a suo modo, dell’ingranaggio dell’intrattenimento nei suoi sforzi guardinghi
di imporre quale musica possa vendere." La mia domanda: perché
è successo? E inoltre: ritieni che la santificazione post mortem
di Lester Bangs possa in un certo senso rivelare la cattiva coscienza
del rock a proposito dell’odierno stato di cose?
Lester è un po’ diventato una vacca sacra – o un santo sciocco.
E’ sempre più facile esaltare qualcuno che è morto e celebrarlo
come un tipo di poetico spirito libero non contaminato da esigenze commerciali.
Lester ha fatto lavori mercenari come chiunque altro, e il prezzo che
ha pagato per la sua iconoclastia indipendente è stato il tormento
della sua "dipendenza" – non sono sicuro che sia uno scambio
conveniente. Ma è ancora salutare ritornare al suo lavoro e capire
che gran DIVERTIMENTO possa essere lo scrivere di rock – e quanto lo
scrivere critico possa essere quello che Charles Shaar Murray chiama
una "risposta creativa".
Per quanto riguarda la cattiva coscienza o la malafede, ritengo che
la maggior parte di noi abbia dovuto conformarsi alla norma nel modo
in cui scriviamo e recensiamo, facendo tutto su misura per un qualche
inesistente "Consumatore Qualunque". Tutti quelli dotati di
una voce personale o difficile – i Paul Morley e gli Ian Penman sono
gli esempi più ovvi qui nel Regno Unito – vengono estromessi
da tutte le pagine che non siano quelle di The Wire o di certi giornali
più "anarchici" degli Stati Uniti. L’industria della
musica – diciamo pure, il capitalismo – HA AVUTO successo nel creare
consumatori che vogliono soltanto comprare e non pensare. Ma in effetti
la gente non vuole ragionare né sui film, né sui quadri
né sulla politica né su qualunque altra cosa. Oggi c’è
una paura profonda e una profonda diffidenza per ogni discorso intellettuale,
specialmente qui in Inghilterra.
Scrivi: "La più grande vittoria dell’industria musicale
è stata quella di far diventare la pop music – dalle boy bands
al nu metal – una mera scelta di stile di vita, una merce usa e getta.
(…) Non desta meraviglia, quindi, che i teenager trattino la pop music
come fosse Coca Cola. Addestrati a consumare e a gettar via da una cinica
industria di junk-food, i teenager non attribuiscono alcun valore agli
artisti i cui file MP3 si scambiano con tanta disinvoltura." Non
potrei essere più d’accordo (ed è questo, credo, il motivo
per cui i servizi legali di file musicali gestiti dall’industria hanno
davanti a sé una strada in salita). La mia domanda: consideri
tutto ciò qualcosa che riguarda peculiarmente i teenager? E qualcosa
che è specifico alla musica? O lo vedi come parte di un quadro
più ampio?
Evito sempre di più di "guardare dall’alto" i teenager
dal promontorio condiscendente dei miei quarantaquattro anni, soprattutto
perché è una tentazione troppo grossa e l’ho fatto fin
troppo spesso in anni recenti. E no, credo proprio che noi tutti siamo
stati sedotti a comportarci come "ragadulti", incoraggiati
a consumare per il gusto di consumare e a passare velocemente al successivo
rifornimento culturale – questo è IL gruppo o il film o il paio
di scarpe che BISOGNA assolutamente comprare questo mese. L’odierno
"stile di vita" occidentale è caratterizzato da una
voracità senz’anima e da un conformismo da zombie.
Scrivi: "I miliardi di file audio che vengono scambiati nell’universo
pop del dopo Napster rappresentano non solo un consumismo vorace ma
anche una mancanza di fede nel pop come evento, come qualcosa
che possa avere un significato. La pop music non è più
il piatto principale, ma semplicemente uno spuntino tra i pasti. E il
motivo principale di ciò è la decisione deliberata da
parte dell’industria di non nutrire il vero talento." D’accordo,
questo può essere il classico caso del cane che si morde la coda,
ma: credi davvero che – stando le cose come stanno – se l’industria
decidesse di cominciare a nutrire vero talento la gente comincerebbe
a comprare questa "roba di qualità"?
A dire il vero credo che alla fine il talento verrà SEMPRE fuori,
anche se solo perché la gente si stanca della sua assenza. E
in realtà C’E’ abbastanza talento in giro – il nuovo album dei
Radiohead è fantastico, e questa settimana devo recensire i nuovi
dischi di Gillian Welch e dei Super Furry Animals, e tutti e due contengono
momenti sublimi in grado di trasportarti. Ma è sempre raggelante
pensare che un artista come Randy Newman sarebbe rimasto senza contratto
dopo i primi due album se avesse iniziato oggi.
Scrivi: "Inoltre, non è una coincidenza se, proprio mentre
le vendite dei dischi stanno precipitando, anche la stampa musicale
è in un declino pericoloso. (…) C’è una fondamentale
mancanza di fede nel valore della cultura pop, con una così vasta
copertura ridotta a una scialba omogeneità tipica della guida
per il consumatore." Un mio caro amico che ha letto la tua introduzione
mi ha scritto: " I giorni gloriosi del rock sono finiti. Il rock
come lui l’ha conosciuto è scomparso e non tornerà mai
più – non più di quanto la sua gioventù – o quella
di chiunque altro – possa mai ritornare. E’ l’impossibilità di
bagnarsi due volte nello stesso fiume. Pensa alla storia: era una musica
nuova con nuovi strumenti e il suo pubblico non esisteva prima che esso
più o meno creasse se stesso. Quel senso di novità e quella
innocenza non potranno mai ritornare; qualunque cosa catturi un futuro
pubblico che si auto organizzi attorno a una propria forma musicale
non sarà rock, non avrà quello spirito che Barney rimpiange."
(Qui mi sono venuti in mente gli attuali gruppi della "rinascita
rock" come The White Stripes o Yeah Yeah Yeah.) Come consideri
questa prospettiva?
Credo che il tuo amico abbia davvero ragione – Non puoi fare ritorno
a casa, per dirla con le parole di Thomas Wolfe. In un senso più
preciso, la mia esperienza di quand’ero un teenager o di quando avevo
vent’anni non trova riscontro nella mia percezione di quello che i teenager
o i ventenni di oggi hanno esperienza. Il mio addolorarmi da fine-della-storia
e la mia falsa nostalgia sono per un periodo in cui il rock era
decisamente separato da – e apertamente in opposizione a – lo status
quo, e per tempi in cui uno doveva faticare davvero duramente per ESSERE
un rock fan. Adesso tutto è facilmente disponibile e non ha più
una risonanza politica. I giovani rock fan di oggi preferiscono indossare
le T-shirt degli MC5 (sponsorizzati dalle Levi’s) come espressione di
una moda piuttosto che seguire i gruppi che STANNO davvero cercando di
"kick out the jams, motherfuckers".
Ritieni di avere raggiunto gli obbiettivi che avevi in mente quando
hai deciso di far partire Rock’s Backpages? Sei soddisfatto dello stato
di cose attuale per ciò che riguarda la risposta che ottieni
e anche sotto l’aspetto più praticamente commerciale?
No. Abbiamo gettato le fondamenta per rendere RBP un archivio digitale
di – e forse una rete di contenuti per – la storia del rock. Ma come
chiunque altro abbiamo lottato per avere degli introiti e dobbiamo continuare
a cercare modi di espandere il marchio e commercializzare il nostro
contenuto – così parla un vero ex ribelle del rock, che prende
il suo posto nell’universo pop postmoderno!
© Beppe Colli 2003
CloudsandClocks.net
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