Intervista
a
Emily
Bezar (1999)
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di Beppe
Colli
Nov.
24, 2004
Condotta
non molto tempo dopo la pubblicazione del suo primo album solo, Grandmother’s
Tea Leaves (’93), la nostra prima intervista con Emily Bezar – effettuata
via posta durante il marzo 1995 e apparsa in lingua inglese su Rubberneck
# 18, June 1995 (alcuni estratti in italiano apparvero in un articolo
intitolato Il ritorno della canzone – su Blow Up # 11, aprile 1999)
– si occupava prevalentemente del suo background, delle sue influenze
formative, e di quell’album.
Al tempo
della pubblicazione del suo terzo album, Four Walls Bending, decidemmo
di porre alcune domande alla Bezar. L’intervista apparve in lingua italiana
su Blow Up # 19, dicembre 1999. Purtroppo problemi di spazio (unitamente
al fatto che l’intervista veniva pubblicata congiuntamente alla nostra
conversazione con Amy X Neuburg a proposito dell’appena pubblicato Sports!
Chips! Booty!) resero la conversazione decisamente più breve
di quanto sarebbe stato auspicabile.
Il tuo
nuovo album ha un suono pieno ma caldo – se alzo il volume non mi sembra
mai troppo alto (spero che i miei vicini siano d’accordo): registrare
in analogico fa tutta questa differenza?
Per me
"caldo" vuol dire: questo suono ti seduce? Vuoi tuffartici
dentro? Penso che un mondo sonoro con uno spettro di frequenze bilanciato
sembrerà sempre invitante, anche ad alto volume. Sì, alcuni
aspetti della registrazione digitale causano un affaticamento dell’udito,
ma credo che abbia più a che fare con gli strumenti, il missaggio,
i livelli. Violoncelli o piccolo a mezzanotte, analogico O digitale…
cosa farà protestare i tuoi vicini!?! Sì, Four Walls è
stato registrato e missato su nastro, e così forse la compressione
del nastro analogico lo ha "riscaldato", ma sono partita da
colori parecchio scuri. La maggior parte dei suoni elettronici dell’album
sono stati creati con un vecchio synth analogico della Sequential, e
le chitarre sono state registrate con pochissimi effetti digitali. Una
metafora alla quale ritorno quando sento la differenza tra quest’album
e il precedente: in qualche modo registrare in analogico ha reso le
mie tessiture più "stufate", più cotte. Come
se tutti gli ingredienti si fossero amalgamati e ora fossero ben coperti
da questo bel sugo dentro la pentola…
Mi sembra
che, album dopo album, la tua musica sia diventata sempre più
ritmicamente ancorata; come consideri, ora, il ritmo?
Beh, Grandmother’s
Tea Leaves ero solo io e il piccolo mondo che avevo in testa a quel
tempo. Potevo esistere in una griglia temporale che si spostava di continuo
perché ero contemporaneamente il direttore, l’accompagnatore
e il solista. Ma con Moon In Grenadine ho cominciato a inserire altri
musicisti nell’intreccio, e dato che era mia intenzione si divertissero
non ho composto tutte le note per loro. Il feel rapsodico nel quale
nuota Grandmother’s Tea Leaves era impossibile da ottenere su una registrazione
multitraccia di gruppo con quella profondità e complessità
di forma e arrangiamento. Non volevo che la band mi remasse dietro cercando
di raggiungermi. E nel comporre il nuovo album mi sono trovata a muovermi
sempre più verso arrangiamenti dove il piano era solo un colore
ornamentale, non il principale motore ritmico come in passato. Così
la responsabilità del groove è ricaduta su Andrew e Steve,
i quali hanno piantato radici più solide di quanto non avessi
potuto fare io con il solo piano.
Ho letto
che il nuovo album rivisita alcune tue passate influenze musicali come
Joni Mitchell e i Pink Floyd, ma se è vero devono essere state
ben metabolizzate… Io non riesco a sentire i Pink Floyd – forse un
po’ la Mitchell, specialmente nell’atmosfera di Black Sand, che mi ha
ricordato un po’ la sezione B di Banquet, da For The Roses…
So solo
quale musica ho molto ascoltato agli inizi… non so mai cosa mi è
rimasto dentro. Credo che il mio legame con Joni sia molto profondo.
Mi ha sempre coinvolto a ogni livello possibile. Hejira è la
mia purissima droga sonora, Hissing… sono in ammirazione intellettuale…
e poi ci sono i miei emotional killers: Blue e Court And Spark. Le mie
influenze rock? Dai Pink Floyd credo di avere assorbito la grandeur
e il flusso elettronico in un senso molto generale – la loro istintiva
"maestosità", forse. Una cosa so per certa: sul nuovo
album questa band ha portato nella musica tre diverse storie. Ho davvero
detto loro: "Ecco le canzoni, ecco cosa voglio fare con le tastiere,
questo è il mio stato mentale quando le canto… ora fatele vostre,
aiutatemi a costruire una cattedrale."
Musica
o testi? Cos’è venuto prima stavolta?
Sicuramente
la musica. Infatti stavo ancora lavorando ai testi quando molti dei
contributi del gruppo erano stati registrati. Il che NON vuol dire che
le mie melodie vocali sono venute per ultime. Ma quasi sempre nello
stesso momento dei primi abbozzi armonico/ritmici. Molto spesso esse
hanno delle piccole frasi che sono cruciali e che diventeranno la genesi
del mood, del tono ecc. Ma mi sento a tal punto più "fluida"
come compositrice di musica che di testi (nel senso che la musica sgorga
fuori mentre i testi sono più "pensati") che ho sempre
pensato che dovrei scrivere più cose strumentali. Infatti sul
disco doveva esserci una suite strumentale elettronica ma abbiamo esaurito
il tempo del disco e il tempo nello studio per missarlo. E ho pensato
che l’album fosse più coesivo come ciclo di dieci canzoni cantate
che ho deciso di aspettare e mettere gli strumentali in un lavoro futuro.
Mi hai
detto di considerare quest’album come il tuo lavoro più accessibile,
ma è molto lontano da quello che è in classifica! Chi
pensi stia facendo un lavoro di qualità se parliamo di canzoni?
Forse il
mio nuovo lavoro è più facile da finire in un solo pasto?
Sembra che per colpire l’attenzione della gente al primo ascolto debba
esserci un magico equilibrio tra il nuovo e il familiare. Ci sono riuscita?
Non lo so. Quello che scrivo mi sembra sempre perfettamente accessibile,
congruente e consonante, ma questa è la più grossa sfida
per un compositore, no? Convincere tutti che la tua bizzarra logica
interna è l’unica strada possibile che la musica potesse prendere.
Per quanto riguarda le classifiche non so chi c’è lì di
questi tempi ma sono abbastanza sicura che i più hanno l’aspetto
e si muovono come Ricky Martin! Forma-canzone, oggi? Vorrei avere più
tempo per ascoltare tutto. OK Computer dei Radiohead mi ha spinto nuovamente
ad ascoltare rock moderno. Credo sia la migliore e la sola vera Opera
rock. Amo gli album di Björk nelle loro ambizioni di "suono
come forma canzone". Homogenic è un brillante modello per
la musica pop del 2005.
©
Beppe Colli 1999 – 2004
CloudsandClocks.net
| Nov. 24, 2004