Intervista a
Emily Bezar (2008)
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di Beppe
Colli
Sept. 16, 2008
Quattro anni dopo Angels’ Abacus – che chi scrive considerava
il suo "album commerciale", quello che speravamo l’avrebbe fatta
diventare una superstar (il che mostra quanto facilmente ci si possa sbagliare)
– Emily Bezar ha finalmente pubblicato un nuovo album. Intitolato Exchange,
è un lavoro ricco e sorprendentemente accessibile. Chi già conosce gli album
precedenti avrà molti motivi per amare anche questo. Coloro i quali si accostassero
al suo lavoro per la prima volta sono invitati a farlo senza timore, posto
che l’ascolto sia attento.
Dato che ritenevamo che il nuovo album meritasse di essere
discusso in dettaglio le abbiamo proposto di fare un’intervista. Ci auguriamo
che il lettore trovi la conversazione che segue (avvenuta la scorsa settimana
via e-mail) stimolante e interessante quanto lo è per chi scrive.
E così finalmente hai fatto uscire un nuovo album! A
soli quattro anni di distanza da Angels’ Abacus… Perché un’attesa tanto
lunga?
Domanda semplice, risposta complessa! Beh, senza annoiare
i tuoi lettori con i dettagli minuti della mia vita di artista che vive ai
margini, mi sento di poter dire che considero il fatto di riuscire a fare
ancora quello che faccio dopo tanti anni davvero un trionfo che sfida le
leggi della probabilità. Specialmente considerando il panorama corrente del
dopo industria musicale in cui perfino le più grosse rock star non hanno
il budget per fare un album ogni anno o due. Credo di aver stabilito un modo
di produzione in cui quello che della mia musica diventa accessibile al pubblico
è più di un qualcosa da archiviare… con il che intendo dire che è una produzione
che vive nelle casse e non è solo un documento di una performance o un momento
particolare della mia vita musicale. Quindi lo sforzo di produzione è complesso,
costoso e richiede moltissima pianificazione, tante energie, e una squadra
composta da musicisti tutti molto occupati e che lavorano. E il fatto che
io abbia scritto molta di questa musica durante un periodo di radicale cambiamento
personale ha comportato che ho avuto bisogno di lasciarla riposare e marinare
per un bel po’. La verità è che il mio matrimonio è andato irrimediabilmente
in pezzi l’anno dopo che ho pubblicato Angels’ Abacus e ho passato dei lunghi
mesi a rimbalzare dalle pareti, a procedere in avanti a zigzag e a cercare
di chiarirmi le idee a proposito di quello che volevo per il resto della
mia vita anche se tutto quello che riuscivo a vedere davanti a me era solo
una nebbia spessa. Ho dovuto aspettare finché non ho saputo quali canzoni
avrebbero potuto avere un valore universale e quali erano solo delle grida
dal fondo della trincea che sarebbero state solo fonte di estremo imbarazzo
nello spazio di sei mesi. Provare a tramutare il caos e un’incertezza che
sembrano sopraffarti in qualcosa di durevole che ricorda il caos ma che è
accessibile senza rischio è una cosa che può essere entusiasmante ma anche
pericolosa. Non ho mai creduto che l’espressione più immediata producesse
necessariamente l’arte migliore, e questa mia inclinazione estetica probabilmente
spiega una buona parte dei problemi di classificazione che la mia musica
ha incontrato. Credo che quello che è maggiormente interessante per me sia
il fatto di osservare il processo di autorinnovamento che ha luogo in un
artista attraverso il suo lavoro… osservare l’artista che ripulisce il
sudiciume. E così, sì, ho avuto bisogno di aspettare finché il processo di
guarigione non fosse a buon punto in modo da poter fare un album che non
fosse un diario ma un lavoro drammatico.
Devo ammettere che la prima volta che ho ascoltato il
primo pezzo di Exchange ho pensato: "E così è tornata alla ‘oscurità
Prog’ di Four Walls Bending", e sebbene sia un paragone un po’ troppo
superficiale mi piacerebbe che mi parlassi del modo in cui vedi il nuovo
album – in termini di intenzione musicale – paragonato a lavori così dissimili
quali Four Walls Bending e Angels’ Abacus.
No, non ho avvolto queste canzoni in mantelli neri (sebbene
ne abbia trovato uno molto bello per le mie foto!) ma mi sono coscientemente
proposta di realizzare un album che fosse meno lindo e in ordine di Angels’
Abacus sotto tutti i punti di vista. E durante questo periodo sarebbe stato
impossibile e disonesto per me limare gli spigoli più di quanto io non abbia
fatto. A partire dal momento in cui il primo gruppo di canzoni è emerso alla
fine del 2005 e ai primi del 2006 ho saputo che avevo qualcosa di più ingombrante
e di maggiormente grezzo di quanto avessi scritto dai tempi di Moon In Grenadine,
che di tutti i miei album sembra adesso, con il senno di poi, essere il più
diretto precursore di questo. Le canzoni sono emerse con delle idee musicali
angolari e aggressive e una forma dinamica così ampia che sapevo che non
sarei riuscita a catturare dentro il computer con delle batterie programmate
o con arrangiamenti di tastiere che avevano quell’aria digitale di cose messe
in sequenza al computer. Questo mi ha quindi portato subito verso l’obiettivo
di fare un album che avesse un suono più live. Cosa che non contraddice affatto
quello che ti ho appena detto a proposito della mia volontà di produttore
di lavorare dentro le casse. Ritengo che la cosa più difficile sia fare in
modo che una produzione sonora complessa suoni spontanea e completamente
dal vivo. Devi lavorare nel bel mezzo del dominio elettroacustico e riconciliare
le diverse sfide poste dalla musica elettronica e dal fatto di catturare
degli strumenti acustici nel loro spazio naturale, come in quest’album è
stato il caso degli archi e dei fiati.
Quindi non nego che questo album suoni più pesante e più
scuro di Angels’, che di tanto in tanto era piuttosto scuro dal punto di
vista dei testi ma che ritengo fosse piuttosto frizzante da un punto di vista
sonoro. Infatti a un certo punto durante le sedute di missaggio Justin, che
ha registrato Exchange, mi ha costretto a trovare tre aggettivi che descrivessero
da soli quello che stavo cercando di ottenere nelle mie vesti di produttore…
non necessariamente in quelle di performer – un set di criteri alquanto diverso
aveva diretto le mie session vocali. E così gli ho detto "pesante, disperato
e surreale" e abbiamo attaccato queste parole al banco di missaggio!
Ora, è assolutamente ovvio che qualsiasi descrizione è completamente soggettiva,
ma cos’è che rende un disco ‘scuro’? Se lo stato d’animo è scuro qui, allora
si tratta di depressione agitata, ansiosa. Perfino nei miei momenti più depressi
non sono davvero incline a compiangermi e quindi ritengo che neppure la mia
musica lo faccia. No, questa non è un’esplosione incontrollata che macchia
tutt’intorno ma in ogni canzone mi sono concessa dei momenti in cui qualcosa
rimaneva fuori controllo, e forse è questo che fornisce all’album una sfumatura
oscura, perché poi non è fosco o lugubre da un punto di vista armonico o
melodico, né è particolarmente dissonante. Soprattutto, per quest’album ho
avuto una fede completa nei miei impulsi. Non ci sono state domande musicali
preesistenti alle quali volevo dare una risposta, si trattava solo di lasciare
che il suono emergesse in maniera organica intorno allo spazio emotivo della
canzone, e – cosa supremamente importante – di invitare i musicisti in quello
spazio perché lo abitassero.
Ascoltando il nuovo album ho creduto di percepire una
"storia", un "racconto", di qualche tipo, con l’ultimo
pezzo a fungere in qualche modo da "commento" a quello che è venuto
prima. Ti dispiacerebbe parlarmi di questo aspetto (strutturale) del lavoro?
Beh, quello che hai detto a proposito della struttura nella
tua recensione di Exchange mi ha veramente colpito e mi ha confermato nell’idea
che potrei aver fatto qualcosa che finora non ero stata in grado di realizzare.
Sì, mi sono sempre molto occupata della forma all’interno di ogni canzone,
facendo sì che ogni momento successivo suonasse necessario. In qualità di
compositore ho degli obiettivi davvero semplici: quelli di padroneggiare
la
"tensione" e la sua "risoluzione" e guidare il movimento
verso queste vette transitorie. E quella padronanza e quel controllo sulla
forma lineare non possono davvero essere insegnati e io mi affido completamente
alla mia reazione emotiva alle idee cangianti per sapere se sono nel giusto.
Se divento migliore in questo è solo perché divento più ostinatamente sicura
del fatto che la mia intuizione non mi mentirebbe mai!
Ma è possibile che io sia riuscita finalmente ad avere successo
per ciò che riguarda la forma su una scala più grande, e forse quest’album
sarà il mio punto di partenza per cercare di fare qualcosa di molto più grande,
cosa che ho minacciato di fare per molti anni. Se qui c’è un arco emotivo
credo che inizi con rabbia e agitazione (Saturn/Anything), passi attraverso
una tristezza profonda (Lament), e a quel punto credo che la fine di That
Dynamite sia il primo picco drammatico dell’album. Si tratta di capitolazione
e coraggio… come quando da ragazza me ne andavo a nuotare dove c’erano
le onde alte nella Southern California, se vedevo quel muro blu di cinque
metri che mi veniva incontro ed ero troppo avanti per ritornare in tempo
verso la spiaggia, sapevo che ci dovevo nuotare dentro. E per tornare alla
precisa immagine della canzone, quella corsa senza paura lungo la valanga
dà un senso di liberazione. C’è un punto critico in ogni esperienza di trasformazione
in cui tutto quello che hai per andare avanti è la fede che il passo successivo
nella nebbia non sarà dentro l’abisso e a quel punto come per miracolo tutto
diventa più facile, e con una qualche combinazione di fortuna e grazia puoi
aggrapparti alla tua fede per il resto di questa drammatica prova. Glory
or Crazy può essere la speranza e la capacità di recupero e Climb, andare
in soccorso di te stesso e fiducia? E Winter Moon hmmmm… quella ancora
non l’ho capita del tutto. Forse Winter Moon parla dell’accettare il fatto
che qualcosa sarà sempre scuro e triste e va bene così. Ogni volta che cerco
di far diventare i miei brutti ricordi dei buoni ricordi vengo decisamente
sconfitta – quando cerco di trovarci l’aspetto positivo. A volte le cose
sono davvero orribili e allora devi ricordarle nel loro aspetto più doloroso
in modo tale da poter apprezzare il fatto di essertene allontanata. C’è un’altra
cosa, e non l’avevo capita finché non mi hai fatto pensare alla struttura
del lavoro, ma adesso so che Strange Man è il pezzo che strutturalmente è "strano".
E’ nel bel mezzo dell’album dato che spezza l’azione in quanto è una meditazione
laterale, una fantasia di tranquillità o qualcosa del genere. L’ho scritta
durante quello che è stato il mio secondo vero scoppio di scrittura per l’album,
quando mi sono segregata per una settimana sulla costa ad Anchor Bay in California
e ho fatto delle passeggiate ogni giorno per guardare il Pacifico e le sue
onde invernali.
E sì, la canzone Exchange è la coda che riflette sull’album…
sicuramente. So che questo è il mio album più teatrale, più operistico, e
sicuramente il sipario si chiude mentre Winter Moon sfuma e allora io come
autore, non il produttore/arrangiatore, non la tragica eroina che ha subito
il male, io come scrittore rimango sul palco da sola a riflettere sul dramma.
E ritengo che questo sia più uno stratagemma letterario che tipico dell’opera…
comunque, sai che l’anno scorso ho visto una produzione di una delle mie
opere preferite, Tristano e Isotta di Wagner, e forse il soliloquio di chiusura
di Isotta, l’incredibile Liebestod, ha ispirato la mia scelta di chiudere
con Exchange? Si dice che lo stesso Wagner chiamasse quell’aria Verklärung (Trasfigurazione). Si tratta di un’aria,
e di un’opera, che certamente ha ispirato molti prima di me. Sono sempre
sorpresa da quanto spesso mi succeda di non riuscire a riconoscere le mie
influenze se non dopo mesi o anni. Un processo davvero misterioso.
Leggendo le note di copertina
ho visto che l’album è stato registrato in posti diversi. Mi piacerebbe
sapere di più degli aspetti logistici della cosa, e del modo in cui i
posti dove hai registrato hanno completato/contribuito a/aiutato a ridefinire/
i tuoi scopi.
Beh, paragonata alla mia ultima
odissea di registrazione in Francia e in Inghilterra, direi che stavolta
sono rimasta più vicina a casa! Ritrovare Justin Phelps (che ha registrato
e missato Four Walls Bending) è stato l’elemento catalizzatore che ha dato
il via al processo di registrazione nel 2007. Ci eravamo persi di vista
prima che io partissi per la Francia nel 2001, ma sapevo che mentre io
ero via dagli Stati Uniti lui aveva aperto un suo studio a San Francisco.
Improvvisamente una notte ho fatto questo sogno bizzarro in cui lo osservavo
registrare un album di heavy metal in un qualche tipo di studio di registrazione "industrial" in
stile Mad Max situato su una bassa scogliera rocciosa sull’oceano. Le onde
sbattevano contro le pareti dello studio, in realtà delle finestre rivolte
verso il mare spumeggiante. Beh, alcune strane sincronie si sono verificate
durante il periodo in cui abbiamo registrato l’album e ho capito perché
mi fossi sentita spinta a chiamarlo il giorno dopo il sogno per vedere
se fosse disponibile a lavorare nuovamente con me.
Nella vita reale il suo studio
si è rivelato essere lo Studio C di Hyde St. a San Francisco, che aveva
riportato in vita dopo un periodo di letargo. Nei tardi anni 60 e nei primi
70 lo Studio C era stato la sede degli studi Wally Heider, e i Jefferson
Airplane, i Grateful Dead, Santana, i Creedence Clearwater ecc. avevano
inciso lì molti dei loro album più influenti. Era uno degli studi che avevano
definito il suono di San Francisco e quando abbiamo iniziato ho cominciato
a capire che stavo per realizzare un album "West-Coast" che faceva
riferimento a tanta fusion e a tanta musica dei 70 con la quale ero cresciuta
in California. L’atmosfera in quella stanza era davvero palpabile e ho
sentito il bisogno di rendere omaggio alla storia e di portare fuori la
psichedelia latente nella mia musica, cosa che ho fatto. E certamente per
alcune parti vocali ho evocato la mia Grace Slick interiore! Abbiamo fatto
anche delle basi in trio negli studi Tiny Telephone di John Vanderslice,
che sono il posto per antonomasia per la musica indipendente più interessante
che si fa a San Francisco. E’ uno studio dedito alle apparecchiature d’annata
e alla produzione creativa. Dei dischi davvero belli vengono fatti lì.
E poi per delle parti di piano di tipo più solistico sono andata a circa
un’ora a nord di San Francisco, ai Prarie Sun Studios, che come probabilmente
sai già sono famosi per essere stati per molti anni gli studi preferiti
di Tom Waits. Lì ho trovato questo bel pianoforte da 9 ft., un Baldwin
Grand del 1964 che viene tenuto in perfetto ordine con amore da un uomo
meraviglioso che un tempo accordava i pianoforti per i Dead. Tutto ha incominciato
ad avere un senso e in realtà è sembrato un gruppo di posti molto in sintonia
tra loro. Niente affatto eterogenei.
Il nuovo album mi suona molto
chiaro, ma anche "caldo", in un modo che chiamo ancora
"analogico". So che in passato hai lavorato con tutti e due i formati,
e mi piacerebbe sapere qualcosa a proposito del processo di registrazione
e di missaggio per quel che riguarda il nuovo album.
Dato che la qualità sonora è migliorata
tantissimo nella registrazione digitale nel corso degli ultimi cinque anni
o giù di lì, di questi tempi la questione nastro contro digitale è molto
meno rilevante. Oggi tutto si riduce a come modifichi il suono con effetti
dopo che lo hai registrato. Justin ha una bella collezione di microfoni
nei quali ha fiducia e quando registra non esagera con l’equalizzazione
e così siamo partiti da fonti sonore molto veritiere. Credo che con pochissime
eccezioni l’aggiunta di effetti che abbiamo fatto sulle voci e sugli strumenti
durante il missaggio sia stata decisamente limitata e di tipo "classico".
Ci siamo limitati a una gamma di echi e ritardi del tipo plug-in in software
e abbiamo aggiunto solo quella giusta quantità di condimento necessaria
a mettere in risalto l’atmosfera del pezzo senza strafare. La musica era
così dinamica che non aveva bisogno di un grande aiuto extra per saltare
fuori dagli altoparlanti. C’è tanto che puoi fare oggi in digitale per
sfruttare e amplificare il glitch digitale e i prodotti del filtro e questi
suoni mi piacciono davvero ma non avrebbero funzionato su quest’album se
volevamo rimanere dalla parte organica dello spettro elettroacustico.
Sebbene questi arrangiamenti non
fossero altrettanto densi di quelli di Angels’ Abacus, questo è stato un
album molto più difficile da missare e giunta a metà strada ho capito che
avevo bisogno di spiegarmi perché stavo trovando delle difficoltà a farlo
suonare come ritenevo dovesse. Sono giunta alla conclusione che il mio
canto su questo album era molto diverso, in un senso generale, da quello
che era stato in passato. La direttiva principale che mi ero data da Produttore
a Cantante durante il processo di registrazione era stata "NON pensare
a come questo suono vocale suonerà su nastro. NON cantare rivolgendoti
al microfono. Canta come se tu fossi sul palco e ricrea il momento del
quale stai cantando". E quello che è venuto fuori è stato un suono
decisamente più duro, di più forte volume, meno aereo e intimo, ma che
era davvero libero da un punto di vista emotivo, oltre a essere l’unico
suono che risultava appropriato alle canzoni. Al momento del missaggio
alla fine abbiamo dovuto raschiare via radicalmente certe frequenze midrange
per addomesticare quel colpo da opera da 2800 KHZ e credo che siamo riusciti
a far funzionare la cosa. Una parte dell’essere una cantante moderna è
capire come manipolare il tuo suono e il tuo respiro in modo che piacciano
al microfono. Proprio come una modella fa il broncio per l’obiettivo, puoi
sedurre un microfono con delle sottili inflessioni timbriche. Ma almeno
per me è terribilmente difficile miscelare un canto teatrale, drammatico,
al naturalismo nudo che l’essere molto soft e vicina al microfono può catturare.
Ritengo di riuscirci in qualche modo, ma di solito privilegio l’un modo
o l’altro. L’ovvia analogia per un attore sarebbe recitare sul palco rispetto
a recitare in un film. Fondere questi approcci è molto difficile, e non
sempre la cosa riesce.
Non credo che l’espressione
"fin troppo vario" sarebbe appropriata per descrivere il tuo nuovo
album, ma è vero che esso comprende un bel po’ di "forme" (o
"generi") diversi. Non propriamente una mossa astuta, in un periodo
in cui "cambiare canale" nel corso di un album ha come risultato
il suicidio commerciale…
Mi è stato chiesto così spesso di definire la mia musica
o descrivere il mio stile e alla fine sto giungendo alla conclusione che
sono in buona parte una "Espressionista impulsiva". Dipingo con
qualsiasi colore riesco ad afferrare per primo per rappresentare il pensiero
o il sentimento fuggevole. A volte è davvero solo una faccenda di dove le
mie mani cadono prima su una tastiera o dove il mio mouse colpisce la forma
d’onda.
Sai, non ho alcuna idea di come
la mia musica verrà percepita nel contesto dei generi convenzionali. Così
tante volte sono stata sicura di aver scritto una canzone "jazzy",
o una canzone di tipo molto classico o una canzone pop e invariabilmente
tutti pensano che suona diversa e che ho mancato il bersaglio ma ‘non sono
in grado di spiegare esattamente perché’. Prendi per esempio la canzone
Climb, con quello stile piuttosto da big-band: richiedeva proprio quel
feel swing in ragione del suo testo un po’ "pazzerello"… aveva
bisogno di essere quanto più mossa possibile, cosa che spero le dia un’atmosfera
altera e retro alla Dorothy Parker. Swing era il colore giusto da usare.
Ma io so che nel ritornello ci sono molti accordi formati in un modo molto
pop, e che alle cantanti di jazz (ovviamente con l’eccezione di una Sarah
Vaughan) non è concesso cantare così sopra il rigo, quindi… non è vero
jazz. Il fatto di avere a disposizione moltissimi stili, beh, è
la mia croce. Ormai voglio smettere di dovermi scusare per il fatto di
avere un grosso vocabolario, di essere non-riduttiva, di essere "maximalista"…
ci sono molte forze nel mondo della musica che ci fanno sentire in dovere
di giustificarci per il fatto di possedere un’ampia gamma espressiva. Sì,
può darsi che oggi ci sia una maggiore accettazione dell”eclettismo’ che
in passato ma ‘eclettico’ è diventato un genere a sé e se non stai miscelando
quello che per un certo ascoltatore è la combinazione accettata di aromi
allora puoi essere percepito, se ti va bene, come uno strano guazzabuglio
oppure, se ti va male, come qualcuno bizzarro in un modo fuori moda piuttosto
che qualcuno dedito a una interessante fusione. Non vogliamo tutti che
la nostra musica venga apprezzata per il suo specifico, particolare sovvertimento
delle aspettazioni? Per quello che essa E’ piuttosto che per quello che
essa NON è? Questo è l’azzardo dell’originalità. Come viene percepita dipende
dal modo in cui la luce la colpisce in ogni diversa stanza.
Ma quello che credo stia finalmente avvenendo oggi nella
musica moderna, specialmente in quella che si era soliti chiamare "
classica contemporanea" è che la fusione è così profondamente incorporata
nel linguaggio musicale che ogni tentativo di sezionare un risultato tanto
composito è destinato a fallire, e tu devi accettare la musica così com’è,
come qualcosa che riflette un nuovo imprinting generazionale. Credo che questo
è ciò che descrive meglio quello che sto facendo. Quello che è sicuramente
vero è che posso spingere le cose portandole più vicine a un genere con le
mie scelte di arrangiamento… i fiati, per esempio, o un suono di synth
analogico che sembra proprio un Moog del 1972 o qualsiasi altra cosa. E sì,
può essere che non ci sia niente di più eccitante di tentare di fare un album
tutto di pezzi swing in stile bigband o uno di pura elettronica, ma se sono
io che finanzio i miei album posso usare tutti gli stili che voglio senza
alcun limite perché questo è ciò che mi piace fare come autore e anche quello
che sento più naturale, ed è questo il campo in cui faccio il mio lavoro
migliore. Ed è in ciò che consiste il privilegio di non dovere rendere conto
a nessuno. Credo di fare tutto quello che ritengo mi possa venire bene. A
questo punto, dopo aver lavorato per tanto tempo al di fuori dell’establishment
musicale, non sento alcuna spinta a cambiare rotta se non per soddisfare
la mia curiosità artistica.
Mi piacerebbe che mi parlassi
dei musicisti che hanno contribuito all’album.
Posso dirti che sono tutte persone
incredibili e che nel corso dell’anno passato, mentre facevamo quest’album
insieme, tutti loro sono diventati miei amici. Mio figlio, che adesso ha
dieci anni, è un bassista elettrico che si prepara a sbocciare e frequentava
questa ottima classe di rockband qui in città chiamata Bandworks; sono
stata molto ben impressionata dal loro incredibile insegnante Mark Bernfield,
che avevo sentito suonare la batteria molti anni fa ma con il quale non
avevo mai lavorato. Beh, il mio istinto mi diceva che lui era quello giusto
per quest’album… aveva la giusta gamma e la flessibilità e quando ho
scoperto che aveva studiato canto classico e anche che dirige un coro –
è stata cosa fatta. Trovare un batterista che aveva cantato Winterreise…
quanto spesso ti capita una cosa così? Ho incontrato il bassista Dan Feiszli
tramite Mark, e anche in questo caso l’ho visto suonare e sono rimasta
impressionata specialmente dal suo modo di suonare il contrabbasso e ho
immediatamente compreso che avrei dovuto finalmente utilizzare il contrabbasso
nelle mie canzoni e ritengo che sia uno dei punti più alti dell’album,
specialmente su Winter Moon. Lui ha delle storie molto divertenti da raccontare
a proposito dei suoi concerti con Julio Iglesias! I fiatisti sono tutti
molto conosciuti nella zona della Bay Area di San Francisco. Chris Grady,
il trombettista, aveva suonato davvero splendidamente su Moon in Grenadine,
e il mio unico rincrescimento è che mi ci è voluto così tanto tempo per
ritrovarlo. A mio parere Phillip Greenlief è il sassofonista più riccamente
espressivo che c’è qui intorno, ed è stato per anni un leader e una forza
di sostegno nella scena della musica creativa di qui. Sono davvero onorata
di averlo su quest’album dato che mi sento decisamente piccola rispetto
all’ampiezza delle sue esperienze musicali e alla sua profondità intellettuale.
Jen Baker è anche lei diplomata alla Oberlin, e ha fatto un album per solo
trombone che contiene degli incredibili multiphonics che verrà pubblicato
in autunno. Ho preso in prestito la cellista Beth Vandervennet dal gruppo
di Amy X Neuburg chiamato Cello Chixtet, che al momento sta registrando
il nuovo capolavoro di Amy, The Secret Language of Subways, che dovrebbe
uscire agli inizi del prossimo anno. Beth è una luminosa persona che fa
musica e suona in molte formazioni sinfoniche locali e ha anche un gruppo
di rock da camera chiamato Rosin Coven. Il violinista Alan Lin è uno spirito
affine che ho conosciuto e ammirato per anni grazie al suo lavoro con l’incredibile
cantautrice Noe Venable, che adesso vive a Boston. E’ uno strumentista in
grado di entrare totalmente in sintonia, e non credo di aver mai suonato
con nessuno in grado di ‘capire’ così velocemente l’essenza di un brano
musicale e di contribuire così tanto e così presto. E uno dei miei più
vecchi e più cari colleghi, Michael Ross, qui suona la chitarra ma è stato
per me una grande fonte di saggezza e di consigli sin dai giorni del mio
primo gruppo di San Francisco, i Potato Eaters, nei primi anni 90. Ora
compone anche della bella musica elettronica, ed è la prima persona alla
quale mi rivolgo quando ho una crisi artistica e ho bisogno di ristabilire
una prospettiva e di trovare un po’ di bei nuovi libri da leggere o degli
album da ascoltare.
Immagino che tu abbia finanziato
l’album. L’ultima volta che abbiamo parlato abbiamo discusso il fenomeno
dello scarico illegale, e il suo impatto sugli artisti indipendenti.
Sono davvero curioso di conoscere il tuo punto di vista in proposito,
quattro anni dopo.
Sì, auto-finanziato come al solito,
proprio come avviene per la maggior parte dei musicisti che conosco che
ancora registrano musica qui nella Bay Area di San Francisco. Di questi
tempi devo dire che vedo questo argomento all’interno di una cornice di
realtà economica molto più seria e pressante. Non trovo affatto sorprendente
che una società tanto abituata a vivere al di sopra dei propri mezzi, indebitata
fino agli occhi, non intenda pagare in contanti per una musica che ora
vede come acqua che sgorga dal rubinetto. Il risultato più ovvio è che
la musica che ha bisogno di più lavoro e di più tempo per le prove verrà
registrata molto meno frequentemente. Quindi, meno musica suonata, più
viaggiatori con laptop nelle loro camere da letto. Qui non voglio pronunciare
dei giudizi a proposito della qualità – parte dell’arte più bella nella
storia è emersa nel processo di adattamento a un grosso cambiamento tecnologico
o sociale. Alla fine è una questione di economia, non importa quanto noi
orgogliosi tipi artistici tendiamo a idealizzare. Se la musica registrata
è gratis, allora deve essere economica da produrre o non verrà realizzata.
Oppure ce ne sarà molta di meno, dato che i musicisti avranno solo due
ore al giorno da dedicarle, se sono fortunati. Per me non c’è nulla di
più rilevante per questa discussione della domanda: come possiamo noi artisti
fare del lavoro che la gente riterrà di valore tale da essere disposta
a pagare per esso? Sospetto che alla fine ci sarà un nuovo modello commerciale
molto fratturato, e che stia già emergendo. Ci saranno piccole comunità
di ascoltatori dediti a preservare la produzione di un artista o di una
scena musicale perché essi capiranno che questo è ciò di cui loro HANNO
BISOGNO piuttosto che quello che loro VOGLIONO. Ci sarà anche un patronage
locale e quella piccola micro-economia di artisti e consumatori si autososterrà
bene ma potrebbe essere un gruppo molto isolato che esplora le idee che
vengono da altri gruppi ma che ha con loro relazioni economiche di piccola
entità. Essi prenderanno gratis quello che vogliono e pagheranno quello
di cui hanno bisogno. Il periodo che va grosso modo dal 1965 al 2000 quando
vere fortune venivano fatte nel rock ‘n roll è stato una vera anomalia
nel corso di tutta la storia della musica, non credi?
Forse questo è il momento giusto
per rispondere alla domanda che mi hai rivolto nella tua email della scorsa
settimana! Hai detto qualcosa come "ma che sta succedendo lì in America?
…mi sembra un racconto di fantascienza… Palin la donna barracuda!". Sai che nella mia musica non mi occupo tanto spesso di
politica o di fatti specifici, almeno non in un modo ovvio, ma ti dirò
come la cosa appare da dentro la casa di carte. No, non è una cosa nuova
che l’America è in un periodo di profondo declino, ma ora i mattoni stanno
cominciando a cadere dall’edificio e tutti quelli che prestano attenzione
a queste cose dovrebbero essere sconvolti e indignati. Quest’anno ho seguito
molto da vicino la manipolazione del collasso del credito… è stato per
me una vera mini-ossessione capire la pazza geopolitica dei nostri tempi
e mi ha aiutato ad avere una prospettiva migliore sui miei problemi. Se
vuoi parlare della parola Exchange e di cose davvero molto scure: quelli
che hanno puntato grosso dirigono l’azione e i casinò di Wall Street ora
vengono salvati dal nostro Tesoro degli Stati Uniti che è quasi alla bancarotta.
La plutocrazia si sta rumorosamente tramutando in cleptocrazia e il Paese
è distratto da una ex reginetta di bellezza che vuole trivellare e assalire
le terre vergini dell’Alaska e che crede che il riscaldamento globale non
possa assolutamente essere imputato all’uomo?! Sì, sembra assurdo in un
senso cinematografico, davvero da fantascienza. Non riesco ancora a immaginare
una soluzione a breve termine in cui resti del denaro per migliorare l’istruzione
o la sanità di questo Paese, né da fonti private né da fonti pubbliche,
figuriamoci per sostenere le arti. Se Obama dovesse vincere (e speriamo
proprio che vinca) avrà il suo bel da fare per cercare di stare al passo
con i pagamenti mensili degli interessi alla Cina e a Dubai e a cercare
di impedire che i nostri ghetti esplodano. Spiacente per lo scenario apocalittico,
ma ritengo che in questo momento per me non sia rilevante o appropriato
preoccuparmi troppo di come mi attendo di ricavare soldi dal copyright
o se i musicisti dovrebbero aspettarsi un qualche nuovo tipo di sostegno
statale nell’era della musica digitale gratuita. Questo sarà probabilmente
l’unico scoppio patriottico che sentirai da me, quindi spero che quanto
ho detto sia sensato e comprensibile.
Comunque, che cosa noi musicisti
dovremmo fare in proposito? Ritengo che la dichiarazione più potente che
io sia in grado di fare è semplicemente di continuare a fare la mia musica.
Continuerò a cercare di aggiungere un po’ di bellezza al mondo e a sperare
che qualsivoglia piccolo impatto essa possa avere attutisca il colpo per
qualcuno. Non che io veda la mia musica come un qualcosa che dà sollievo,
ma se devo fare politica questo deve avvenire a un livello personale, quello
di ispirare coraggio personale. Lascerò che gruppi come i Radiohead, gli
U2 e i Rage against Machine siano gli attivisti e gli organizzatori. Io
non ho quel tipo di piattaforma.
Al momento in cui parliamo,
il nuovo album è uscito da poco. Com’è la risposta, finora?
Non c’è ancora troppa risposta
al di fuori della comunità progressive rock che sembra abbracciarlo con
calore e questa è una cosa che mi rende felice. Ho trovato gli ascoltatori
con le orecchie più aperte negli ambienti della scena art-rock e nelle
sue vicinanze e credo che ciò sia dovuto al fatto che questa gente chiede
di essere intrattenuta a un livello intellettuale mentre allo stesso tempo
vuole essere colpita da una bomba di piacere sonoro, capisci cosa voglio
dire? Ed è gente che ama anche il senso del drama e la teatralità della
mia musica. E’ una comunità di musicisti e fan che ha davvero sopportato
tanti insulti e tanta derisione dal mondo della musica mainstream sin dalla
fine degli anni 70, e ritengo che lì ci sia uno spirito combattivo
che ha aiutato a mantenere vivo il genere e tutte le sue varietà. Ho sentito
dei commenti a proposito di come questo album sembri più complesso di quelli
che ho fatto prima e devo dire che non sono ancora sicura di essere d’accordo.
Non è mai stata mia intenzione essere difficile da capire, ma se qualcuno
è eccitato dalla sfida di decodificare la mia musica, da compositore lo
considero un successo. E’ un onore che qualcuno sia disposto a investire
il suo tempo nella mia musica dopo un primo approccio, forse fonte di perplessità.
Al di là di tutto, cerco sempre di ricordare che accettare o rifiutare
sono di solito una faccenda di gusto.
Avendoti vista dal vivo due
anni fa, sono curioso di sapere se c’è del lavoro dal vivo all’orizzonte.
Hai in progetto di portare questo album in tour?
Una cosa che so per certa è che
è possibile eseguire questo album dal vivo in un modo che non era possibile
se parliamo di Angels’ Abacus. Posso riuscire ad andare vicino al suono
registrato con un piccolo gruppo e c’è più libertà e apertura in queste
canzoni, che potranno solo diventare più ricche e più dinamiche e interattive
quanto più verranno suonate dal vivo. Questo per me è incoraggiante, e
sì, ovviamente mi piacerebbe tantissimo andare in tour, mi piacerebbe essere
richiesta come artista e avere delle belle opportunità. Ci hai visti al
festival jazz di Malta! Che posto spettacolare vicino a quegli antichi
bastioni – quello per me è stato un concerto di sogno e mi piacerebbe molto
tornare in Europa la prossima estate e suonare finalmente in Francia e
in Italia, dove so che ci sarebbe un pubblico per la mia musica…Verdi,
Debussy, Bellini, Puccini, Ravel, Messiaen… è nell’acqua!
La dura realtà è che la combinazione
di fattori economici, l’enorme competizione esistente perfino per piccoli
concerti in posti come New York e il fatto che senza qualche grosso salto "nella
mappa musicale" non sarò in grado di avere un agente in grado di aiutarmi
a organizzare un bel niente… tutte queste cose mi rendono andare in tour
estremamente costoso e difficile. Potrei trovami presto a dover prendere
una decisione: passare il prossimo anno a bussare alle porte per potere
fare concerti o scrivere e registrare dell’altra musica presto, pubblicandola
forse a un ritmo più veloce, a intervalli più brevi. La scena musicale
qui nella Bay Area di San Francisco è più forte e più viva di quel che
è stata per parecchio tempo e sono ottimista sul fatto che emergeranno
più locali adatti a quello che faccio. Siamo, e siamo sempre stati, un
po’ un satellite provinciale, nel senso buono della metafora. Qui non abbiamo
la stessa pressione a essere internazionalmente rilevanti come può succedere
a New York o a Londra, e questo fatto assicura a molti di noi una certa
libertà creativa. Qui sono davvero possibili tanti approcci, e gli artisti
che producono arte per amore e bellezza troveranno un modo di continuare
a produrne e in qualche modo verremo scoperti da quelle piccole comunità
che ci incoraggeranno a continuare a creare e a sfidare noi stessi.
© Beppe Colli 2008
CloudsandClocks.net | Sept.
16, 2008