Intervista
a
Amy
X Neuburg (1999)
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di Beppe Colli
Dec. 4, 2002
Non ricordo esattamente
come ho appreso dell’esistenza della musica di Amy X Neuburg – probabilmente
amici comuni. Comunque di lì a poco la recensione estremamente
positiva di Utechma – l’album inciso sotto l’abituale sigla di Amy
X Neuburg & Men – firmata dal solitamente affidabile Robert L.
Doerschuck e apparsa sul mensile statunitense Musician mi diceva che
ero in buona compagnia. In un mondo perfetto le canzoni di Amy X Neuburg
sarebbero alla radio e in classifica: melodie brillanti, tempi dispari,
arrangiamenti ingegnosi, testi profondi ma mai pretenziosi, una voce
personale e versatile, un bel lavoro in sede di registrazione.
Ho avuto l’opportunità di intervistarla (tramite e-mail) in
occasione dell’uscita dell’album successivo (Sports! Chips! Booty!)
ed è questa intervista che il lettore troverà qui di
seguito. L’intervista è apparsa in italiano su Blow Up # 19
del Dicembre 1999, ma in quell’occasione motivi di spazio mi hanno
costretto a eliminare due domande e le relative risposte. Ho inoltre
approfittato di questa occasione per rivedere e rendere più
scorrevole la traduzione.
Al momento la pubblicazione del suo CD solo (cui si fa cenno nell’intervista)
sembra discretamente prossima e a giudicare dai due brani apparsi
sulla recente compilation intitolata This Is… an IS Production Sampler
l’album promette di essere molto diverso dalla sua produzione passata.
Avendo visto – e recensito – un concerto del gruppo trasmesso in Live
Webcast (Oakland, Imusicast – 6 gennaio,
2000) posso solo augurarmi che un giorno il gruppo visiti davvero
l’Europa.
Se lo paragoniamo al precedente, il nuovo album ha un’atmosfera
live molto accentuata – sicuramente una scelta consapevole…
Sì, una scelta deliberata. Sul palco siamo MOLTO attivi.
Ci muoviamo tantissimo, facciamo uso di coreografie, interagiamo con
il pubblico e tra di noi, e a volte usiamo brevi "shticks"
(scherzi surreali). Ci divertiamo tutti moltissimo, il che ci consente
di controbilanciare la seriosità della nostra musica, che è
piuttosto complessa, e di piacere pressoché a tutti a prescindere
dalla loro familiarità con l’art-rock. Sul CD ho cercato di
trasmettere questo elemento di intrattenimento lasciando le parti
vocali non troppo rifinite, usando risate e altri suoni vocali durante
la musica e registrando il gruppo come un tutto, anche se in seguito
abbiamo operato molti editaggi e sovraincisioni.
Un elemento
che mi incuriosisce molto è il vostro uso degli strumenti elettronici:
il risultato è sorprendentemente organico
e "invisibile" – bisogna leggere il libretto per capire
cosa succede – anche se immagino che in concerto le cose siano diverse,
e forse parte della "presentazione"…
Gli strumenti elettronici
offrono infinite possibilità sonore, permettono ad ogni membro
del gruppo di "creare" uno strumento diverso per ogni canzone
e sono spesso molto pratici nelle situazioni dal vivo, dato che i
volumi e gli effetti possono essere controllati con estrema precisione.
Ma il mio obbiettivo è che l’elettronica NON sia il punto focale
della musica; voglio invece usare gli strumenti elettronici per esprimere
la musica. La musica elettronica viene spesso considerata automatica
o robotica. Noi non usiamo sequencer né batterie elettroniche:
ogni strumento è suonato. Ciò aggiunge letteralmente
un tocco umano, così come l’ampio uso di voci e testi. Ma –
come tu suggerivi – in concerto gli strumenti ci forniscono una dimensione
visiva decisamente "futurista". Guardare Joel che suona
il Lightning (un marchingegno a raggi infrarossi che si suona muovendo
delle bacchette in aria) è sempre uno dei momenti clou dello
show; il Chapman Stick di Micah è strano e colpisce; e ciascuno
di noi ha l’opportunità di sorprendere il pubblico con suoni
inattesi: Micah può suonare le percussioni dallo Stick, io
posso suonare accordi dalla batteria, Herb può suonare il basso
dalla chitarra e così via. Sui nostri CD fornisco sempre le
informazioni complete per ogni canzone, in modo che tutti possano
cogliere questa versatilità.
Molte delle
vostre canzoni hanno un’evidente dimensione umoristica, ma essendo
italiano (e quindi parte di una differente cultura) a volte non sono
sicuro di cosa parlino, ad esempio in Orange County…
Capisco come qualcuno
di un’altra nazione possa non cogliere molti dei riferimenti culturali.
Tutto l’atteggiamento del gruppo si basa su riferimenti culturali:
i Men prendono in giro stereotipi maschili, e così fa il titolo
del nuovo CD, che indica tre tipiche preoccupazioni dei maschi americani.
La Orange County
è un’area suburbana notoriamente conservatrice della California
meridionale dove ho trascorso molti mesi quando lavoravo in un musical.
Alcuni riferimenti nella canzone sono specifici alla mia situazione
personale – ad esempio ho davvero
abitato in un appartamento impersonale con un ficus di plastica, a
un isolato di distanza dal più grande mall del mondo. Faccio
riferimento allo smog e alla mancanza di apprezzamento per l’arte
tipici di Los Angeles. Ma potrei stare descrivendo qualsiasi area
suburbana d’America, dove i mall sono onnipresenti e in tutti c’è
un Cinnabon (una catena nazionale che vende dolci alla cannella).
Di fatto la gente vive in macchina, il paesaggio contiene ripetutamente
gli stessi negozi e la mentalità del consumatore americano
di tanto in tanto ci coinvolge tutti (me compresa).
In definitiva Orange
County è una canzone molto triste, dato che alla fine mi ritrovo
sola nel mio appartamento con i miei nuovi acquisti. Dietro una facciata
umoristica le mie canzoni parlano sempre di qualcosa di significativo
a livello personale.
Quando si ascolta
una canzone è molto comune dare per scontato che l’"io"
della canzone rappresenti la "voce" di chi la canta (per
esempio Eddie Vedder, Kurt Cobain o Joni Mitchell); cantare "interpretando"
un personaggio non credo sia cosa molto comune (al momento mi vengono
in mente Frank Zappa o il "narratore inaffidabile" nella
tradizione, per dire, di un Randy Newman)…
Un motivo per
cui lo faccio è quello di asserire qualcosa in modo non troppo
manifesto. Dico il contrario di ciò che voglio dire, o faccio
finta di essere qualcun altro, per parlare di un problema senza predicare
in modo esplicito "le pistole non vanno bene", ad esempio.
Nella musica i proclami politici manifesti mi indispongono perché
all’ascoltatore non resta nulla da capire, cosicché preferisco
essere politica in un modo più sottile, con humour o ironia.
In Big Barbeque interpreto qualcuno a cui piacciono le pistole. In
I Know You interpreto qualcuno che teme chi è diverso da lui
(con alcune delle mie idiosincrasie a fare capolino).
Inoltre sono stata
influenzata dalle mie innumerevoli esperienze nel teatro, nel musical,
nell’opera. Allo stesso modo in cui un autore può "parlare"
per il tramite dei suoi personaggi a volte le mie canzoni sfruttano
l’uso dei ruoli per comunicare in maniera più accattivante.
Fate una cover
di Waiting Man dei King Crimson e credo che qui ci sia una "sovversione"
del significato originale. Sbaglio?
Dapprima abbiamo registrato
Waiting Man perché fosse inclusa su un CD-omaggio ai King Crimson.
Abbiamo scelto quella canzone perché i pattern a incastro sembravano
appropriati per la nostra strumentazione, perché non era una
canzone complicata e in ragione del titolo. Ma ovviamente ho dovuto
modificare le parole in modo che avessero senso cantate da una donna.
L’intenzione non era di sovvertire, ma il risultato è stato
quello. L’Uomo sta ora aspettando ME mentre io viaggio per il mondo,
e io non sono poi troppo comprensiva nei suoi confronti. I brevi spruzzi
di voci maschili sono automaticamente umoristici, e in questo modo
gettano la sentimentalità dei King Crimson fuori dalla finestra.
Nella canzone
Hunger For Heavean, su Utechma, hai tagliato tutte le pause di inspirazione
dalle tue linee cantate – e non appena lo si nota l’effetto è
decisamente inquietante. Se parliamo di produzione discografica chi
consideri un produttore creativo?
Molto di ciò che
mi influenza sono i mezzi che ho a portata di mano. Quando lavoravo
a Utechma stavo facendo il beta-testing di un sistema di registrazione
su hard disk. E’ stata la mia prima opportunità di editare
la mia musica graficamente e le possibilità di manipolazione
sonora sembravano essere infinite. Ma credo che ogni drastica manipolazione
audio debba avere una giustificazione artistica, ad esempio il non
avere respiri in una canzone che parla di un lento suicidio. "Produrre"
comprende così tanti aspetti della mia musica – dal creare
timbri sui sintetizzatori all’arrangiare le voci allo scegliere i
riverberi – che non sono sicura dove finisca il comporre e dove inizi
il produrre. Con le nuove tecnologie tutti questi aspetti si integrano
in quello che potrebbe essere chiamato "mettere insieme una canzone".
Produttori che
considero creativi comprendono Brian Eno, Colin Newman, Kate Bush
e Björk ecc. su Homogenic. Gli album di Kate Bush The Dreaming
e Hounds Of Love sono degli esempi eccellenti di "produzione
come musica", dove la complessità delle canzoni è
difficile da separare dal drama della produzione. Per contro, i produttori
di Björk hanno fatto diventare lavori d’arte quelli che erano
melodie e testi dotati di ben poca fantasia dando loro sfondi elettronici
stupefacenti. (E certo aiuta avere la voce che ha Björk.)
Progetti futuri?
(Mi sembra di ricordare che all’orizzonte ci fosse un album solista…)
Tour europei?
Abbiamo in programma di
fare un tour europeo nell’estate del 2000, dopo un tour nella parte
occidentale degli Stati Uniti. In seguito spero di concentrarmi su
un disco solista atipicamente serio e personale. Subito dopo inizieremo
a lavorare al prossimo disco del gruppo. Abbiamo anche in mente di
produrre un lungo lavoro di musica e teatro. Nel frattempo continuo
a comporre per danza moderna: tra i progetti imminenti un lavoro di
lunga durata su Gertrude Stein e uno show a Hong Kong con l’Asian-American
Dance Performances.
© Beppe Colli
1999 – 2002
CloudsandClocks.net
| Dec. 4, 2002
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