Marc Hollander/Aksak Maboul
Onze Danses Pour Combattre La Migraine
(Crammed)
Era
il 1980 quando una segnalazione sulla stampa specializzata ci informò
dell’esistenza di un album intitolato Un Peu De L’Âme Des Bandits,
del collettivo belga denominato Aksak Maboul. Il motivo principale dell’interesse
per quel disco era la presenza di Chris Cutler e Fred Frith, veri beniamini
della scena rock di quegli anni. Ma all’atto pratico il lavoro non deludeva,
con un convincente impasto strumentale dove si ascoltavano con piacere
il fagotto di Michel Berckmans, il violoncello (anche elettrificato)
di Denis Van Hecke, le tastiere di Frank Wuyts e le tastiere e i fiati
di Marc Hollander. Un lavoro la cui prima facciata risultava avere non
pochi punti di contatto con la dimensione "dance" (con le
virgolette!) del frithiano Gravity, album che prendeva forma pressoché
contemporaneamente e alle cui session Hollander aveva preso parte. E
se oggi questa prima facciata risulta forse un po’ datata, crediamo
di poter dire che la facciata numero due, interamente occupata dall’affresco
composito di Cinema, mantiene intatta la sua bellezza.
Di
lì a poco tempo una provvidenziale ristampa ci introdusse a quello
che – nel 1977 – era stato l’esordio della sigla Aksak Maboul: Onze
Danses Pour Combattre La Migraine, album fresco e incredibilmente sfaccettato
frutto quasi esclusivamente del lavoro di Marc Hollander coadiuvato
principalmente dal polistrumentista Vincent Kenis. Piace quindi poter
dire della ristampa in formato digitale di un album che il tempo non
sembra aver privato di quelle qualità e di quei caratteri che
lo rendono un affascinante pezzo unico nella formulazione di una musica
rock di matrice europea (continentale). Una musica dietro la quale si
intravedono una frequentazione assidua del repertorio classico (ma nelle
note di copertina Hollander sottolinea la sua formazione da autodidatta),
un pizzico di Zappa, Philip Glass e il minimalismo, gli Henry Cow, la
musica turca e Phil Miller. Il tutto reso con una sonorità limpida
e meticolosa perfettamente mantenuta in questa riedizione.
Il
lavoro procede con feconda disinvoltura anche sotto l’aspetto timbrico
– si vedano lo scintillante organo Farfisa accoppiato a una batteria
elettronica di Saure Gurke, o la disinvoltura con cui viene affrontata
la ellingtoniana The Mooche, che senza soluzione di continuità
sfocia poi in Vapona, Not Glue. Bello il melodismo di Milano Per Caso,
servita da un ottimo arrangiamento, come pure le movenze non poco zappiane
di Son Of L’Idiot. Le ascendenze minimaliste vengono fuori nella prima
parte di Mastoul Alakefak e nell’intermezzo vocale di Chanter Est Sain,
mentre lo humour presente con generosità in tutto il lavoro è
forse maggiormente evidente nelle atmosfere finto-etniche di Glympz.
Impossibile tacere del lavoro di Hollander a piano e clarinetti (davvero
pregevoli i suoi interventi al clarinetto basso). Ma è la cifra
stilistica di tutto il lavoro, fortemente unitaria, a ben impressionare
ancora oggi.
Beppe Colli
© Beppe Colli 2004
CloudsandClocks.net | Sept. 5, 2004