Jimmy Ågren
Various Phobias
(Garageland Records)
"Essere un chitarrista di blues beefheartiano in Svezia non
dev’essere facile (ma dove lo sarebbe?)." Aprivamo così l’intervista
a Jimmy Ågren da noi realizzata alla fine del 2004 a pochissima distanza
della pubblicazione di Close Enough For Jazz, terzo album solo del musicista
dopo Get This Into Your Head e Glass Finger Ghost. In quell’occasione Ågren
ci aveva non poco sorpresi comunicandoci di avere già pronta buona parte
del materiale per il suo nuovo CD. Da cui la speranza da lui nutrita che
l’album – titolo previsto: Various Phobia – potesse uscire prima della
fine del 2005.
Da parte
nostra eravamo contenti del nuovo album, dove il piccolo Ågren (il fratello maggiore è il batterista Morgan),
confermatosi anche ottimo batterista, bassista e armonicista, si era mostrato
come al solito dedito a coltivare con accattivante modestia una musica
che commercialmente sembrava offrire ben poche speranze. E proprio in quell’occasione
– e senza per questo voler nulla togliere alle coordinate
"blues-beefheartiane" di cui s’è detto – ci eravamo augurati che
gli spunti di sapore folklorico che avevano fatto capolino sugli strumentali
Who’s Lennard e Fifty Thousand Notes potessero trovare ulteriore sviluppo.
Le cose
sono andate in modo del tutto diverso. Innanzitutto, com’è ovvio, per quanto
riguarda la data di uscita di Various Phobias, che Ågren
ha realizzato in completa solitudine sia strumentale (ma capire che tutti
gli strumenti sono stati suonati da una sola persona è pressoché impossibile)
che tecnica. Poi, per quello che riguarda la musica: che non ha virato
verso quel
"rock folk" che ci eravamo augurati di poter ascoltare, ma che
pare avere abbandonato non poco di quelle coordinate (e con esse l’armonica!,
strumento qui del tutto assente) che rischiavano ormai di diventare maniera.
Non che
l’ascoltatore che già ben conosce il lavoro di Ågren
corra il rischio di non sapere dove si trova, complici l’apertura dell’album
– un breve brano decisamente in linea con il passato – e il brano 7 (che
vediamo come l’apertura di una immaginaria Side Two), uno strumentale che
non avremmo trovato fuori posto sull’esordio (omonimo) dei Mallard. Ma
in quest’album Ågren sembra aver riformulato il suo concetto di groove,
che da spezzato/fratturato (alla maniera di Drumbo) sembra oggi molto più
lineare (in un senso alla Terry Bozzio o, talvolta, alla Simon Phillips).
Mentre in parallelo quegli angolari riff ripetuti si alternano ora a briosi
assolo che ci hanno non poco ricordato Jeff Beck: sia quello più antico
del "British Blues" che quello
"bulgaro" delle cose più recenti.
L’apertura
di Smokin’ France è classica & rassicurante, con un testo spiritoso
e un’atmosfera complessiva che definiremmo non poco zappiana.
Ma è
la successiva Little Devil (la Gibson SG?) che inizia a mostrare le novità:
ritmo asciutto e serrato (gli Yardbirds?), slide in stile Jeff Beck e bruciante
assolo di chitarra sorretto da una batteria poderosa.
La lunga
Light Show Bob vede delle sezioni "beefheartiane" alternarsi
a momenti dalle chitarre stratificate e a momenti più "leggeri".
Curiosamente il finale vede un ritmo che ci ha ricordato non poco quello
della zappiana San Ber’dino – con il Jeff Beck "bulgaro" in assolo
con leva.
Bello
il groove "pigro" di Blow Me Hard, brano che (e non sapremmo
davvero dire il perché) ci ha richiamato alla mente i Kinks "rozzi" di
Muswell Hillbillies.
Groove
a metà fra Drumbo e Terry Bozzio con assolo di chitarra su base
"boogie" per Jeff’s House, mentre un groove alla Simon Phillips
anima Goodnight Austin Texas, con ottimo basso.
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è il brano "Mallard" di cui si diceva: iniziale arpeggio
"circolare" di chitarre acustiche con armonici, melodia suonata
con la slide, e un effetto (che diremmo simulato) di "nastri rovesciati".
Waitin’
è boogie con un buon assolo, Various Phobias ha delle ottime parti di batteria.
Durham
Takeoff è un ottimo brano strumentale dove l’assolo di chitarra è diviso
tra blues e delle strane melodie "svedesi" eseguite con la slide.
Anche qui, ottima batteria.
Detto
di una per molti versi normale They Don’t Care, l’album (di lunghezza vinilica:
una buona mossa) chiude benissimo con Mud Driller: arpeggio iniziale di
chitarra elettrica con armonici, bella melodia dal sapore "popolare",
ottima coppia basso e batteria, bell’assolo di chitarra slide e chiusura
"simmetrica".
Viene
il momento delle conclusioni. E qui possiamo solo rimpiangere il fatto
che quel piccolo circuito di locali che un tempo ospitavano materiali eterodossi
(anche contigui allo "stile" Rock In Opposition) sia ormai del
tutto scomparso.
Beppe Colli
© Beppe Colli 2008
CloudsandClocks.net | Mar. 6, 2008