Pick of the Week #13
Phil Manzanera: K-Scope
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di Beppe Colli
Mar. 7, 2021



"We’re rolling".

La voce di un tecnico – presumibilmente Rhett Davies – a segnalare l’inizio della registrazione, immediatamente seguita da un loop di pianoforte, apre l’album dei Quiet Sun intitolato Mainstream.

Un album che acquistammo ancora fresco di stampa e di recensioni, tutte largamente positive, nell’agosto del 1975, a un prezzo ridotto: £1.75. Era infatti costume della Island pubblicare album dai costi di lavorazione contenuti ma il cui destino commerciale era giudicato "rischioso" in una collana apposita, la HELP, a un prezzo pari al 60% circa di un album normale. (Lo stesso era già successo con il commercialmente "controverso" (No Pussyfooting) di Fripp & Eno.)

Le recensioni positive del 1975 facevano un bel contrasto con le lettere di rifiuto inviate al gruppo al tempo in cui era ancora attivo e speranzoso. (Le lettere sono state riprodotte nell’edizione in CD pubblicata molti anni dopo dalla Expression Records.)

"Giovani di belle speranze" nel 1970, i Quiet Sun di Mainstream vantavano due nomi di buona notorietà: il bassista Bill MacCormick, conosciuto e apprezzato sui due album incisi dai Matching Mole di un Robert Wyatt non più Soft Machine; e il chitarrista Phil Manzanera, ottimo strumentista e stella di prima grandezza con i Roxy Music. Un gruppo, sia detto per inciso, la cui enorme popolarità nel Regno Unito era difficile da percepire nella corretta misura guardando dal Continente.

Completavano il quartetto il tastierista Dave Jarrett, che l’incisione dell’album trovava ormai insegnante universitario a tempo pieno; e il batterista Charles Hayward, ancora poco noto ma destinato a una grande popolarità "underground" con i gruppi This Heath e Camberwell Now.

"Un incrocio tra Caravan e Soft Machine, ma senza il sassofono" è il meglio che riusciamo a dire per descrivere la musica dei Quiet Sun, pur perfettamente consapevoli che la definizione non rende l’dea. Inciso in uno spirito da "buona la prima", con pochissime ma azzeccate sovraincisioni e una freschezza di esecuzione che mai farebbe supporre che il gruppo stia suonando materiale "vintage", Mainstream è album che è piacevole recuperare ancora oggi.

Ovviamente l’album non fu registrato nel 1970, e le esecuzioni non possono che beneficiare dell’esperienza nel frattempo accumulata dai quattro. La batteria di Hayward fa un figurone (sia consentito un momento di nostalgia per un mondo in cui capitava di sentir dire "Ho ascoltato un disco dove c’è un batterista bestiale"), gli altri non sono da meno, il repertorio è vario e la chitarra di Phil Manzanera si conferma strumento timbricamente versatile e in grado di evitare ogni eccesso.

Pur venendo "dopo", l’album dei Quiet Sun è in grado di illuminarci su cosa era accaduto "prima". Scioltosi il gruppo, Manzanera aveva fatto tombola entrando nei Roxy Music, al tempo decisamente controversi, e non solo per motivi stilistici. (Dobbiamo confessare che vedere la copertina del loro primo album, uscendo da scuola, nella stessa vetrina che non molto tempo prima aveva ospitato l’album di esordio dei Patto non ci sembrò di buon auspicio.)

Inclinazioni personali e formato del gruppo furono alla base dell’approccio chitarristico di Manzanera nei Roxy Music, poco "solista" e molto "di tessitura". In ciò il musicista fu grandemente aiutato dalla presenza – strumentale e concettuale – di Brian Eno, il cui approccio all’allora giovane sintetizzatore era profondamente diverso da quanto prevalente all’epoca (si ascolti l’introduzione di VCS3 al brano dei Matching Mole intitolato Gloria Gloom, la cui atmosfera sinistra non può non rimandare al capolavoro di Todd Dockstader intitolato Quatermass). Eno prese anche a trattare e filtrare nel sintetizzatore la chitarra di Manzanera, ampliandone le possibilità timbriche. Cosa che incoraggiò Manzanera ad approfondire quanto già sperimentato.

Perfettamente in grado di essere "leader", il Phil Manzanera di quegli anni fa un figurone nel "gioco di squadra". Tra gli album che vedono la sua partecipazione, vanno citati i primi due lavori solisti incisi da Brian Eno dopo l’uscita dai Roxy Music: Here Come The Warm Jets (1973) e Taking Tiger Mountain (By Strategy) (1974). Due album validi e a loro modo originali il cui impatto diremmo oggi messo in ombra dal molto che Eno ha fatto in seguito, ma che meritano un riascolto.

Nella baraonda seguita alla decisione del leader dei Roxy Music, Bryan Ferry, di intraprendere una carriera solista in aggiunta a quella con il gruppo, Manzanera trova il tempo e le forze per incidere il suo esordio da solista: Diamond Head (1975). E lo fa prevedendo l’incisione contemporanea dell’album dei Quiet Sun di cui si è detto.

L’unico difetto imputabile a Diamond Head è una certa mancanza di coerenza. Cosa che potrebbe essere detta anche degli album di Eno appena citati. Il problema è che la voce umana tende a fare da "collante" e a dare un’impressione di "coerenza" anche in presenza di un multistilismo spinto, e la voce di Eno è decisamente riconoscibile. Mentre Manzanera non canta (anche se, al pari di suoi illustri colleghi, possiede una "voce" inconfondibile).

L’album scorre piacevole e non privo di novità. Si susseguono le voci di Robert Wyatt, Eno, John Wetton, Bill MacCormick (in quella che dovrebbe essere la sua prima incisione in veste di cantante) e, in un cammeo di primaria importanza, Doreen Chanter.

Frontera ben accoppia Robert Wyatt e chitarre quasi "ambient". Diamond Head è uno strumentale destinato a rimanere come "firma". The Flex, con Andy Mackay ai sassofoni, si ricorda dei Roxy Music. Same Time Next Week è un "funky" decisamente cerebrale. Big Day e Miss Shapiro sono Eno a 18k. East Of Echo, Lagrima e Alma riprendono il repertorio dei Quiet Sun.

Saggiamente l’album usa Paul Thompson dei Roxy Music alla batteria quale ancoraggio; al basso l’ex King Crimson John Wetton si conferma eccellente strumentista.

Manzanera suona moltissimo, e spesso "non si vede", a conferma di una bella maturità strumentale. Va però citata la chiusa di Alma, momento atipicamente "eroico" dal sapore quasi crimsoniano che porta l’album a una brillante conclusione.

Del tutto inaspettatamente (Internet era ancora di là da venire), ci trovammo di fronte un album dal vivo di una formazione per noi misteriosa: gli 801. Le recensioni furono entusiaste, l’aspetto strumentale di bell’impatto, le presenze illustri: Eno, Manzanera, MacCormick ai loro posti; uno sconosciuto Loyd Watson a chitarra e voce; l’ex Curved Air Francis Monkman a piano elettrico e clavinet; e un ragazzino di 19 anni, Simon Phillips – che di lì a poco ritrovammo su How’s Tricks di Jack Bruce – alla batteria.

Il missaggio dell’album è decisamente "americano", con la ritmica tonante. Accoppiato alla stupefacente batteria di Simon Phillips ("ma chi cazzo è questo?", chiedevano i nostri colleghi al momento di entrare nel gabbiotto quando mettevamo in onda uno dei brani dall’album), Bill MacCormick tira fuori un’aggressività alla Jack Bruce che mai avremmo sospettato. Tutti, ovviamente, suonano bene. (Stranamente, dato il suo carattere spigliatamente "entertainer", quest’album è oggi dimenticato, diremmo senza motivo alcuno.)

Il repertorio è quello logico: qualcosa di Eno, qualcosa di Manzanera, qualcosa dei Quiet Sun, più You Really Got Me dei Kinks e Tomorrow Never Knows dei Beatles.

Dobbiamo confessare di avere atteso con una certa curiosità un nuovo album degli 801, formazione che ritenevamo in grado di produrre grandi cose. Per non tenere troppo in sospeso il lettore che non ha vissuto quel periodo, diremo che le grandi cose – due album: Listen Now (1977) e K-Scope (1978) – arrivarono, raggiungendo vette superiori a quanto da noi sperato, che poco non era. Ma – ovviamente! – con dei colpi di scena del tutto inattesi.

Pubblicato a nome Phil Manzanera/801, Listen Now apparve dopo un lasso di tempo di gran lunga maggiore di quanto era ragionevole attendersi dopo la bella accoglienza riservata a Live. Le note di copertina dicono di session durate un anno e mezzo, anche se in realtà i tempi dell’incisione furono di gran lunga minori. Ma Phil Manzanera aveva il suo da fare con i Roxy Music e Bryan Ferry, e come sempre Eno era impegnato in mille faccende. Non può stupire, quindi, che ascoltato tutto d’un fiato Listen Now risulti un po’ troppo eterogeneo.

Fatta la precisazione, ci sentiamo di dire con assoluta tranquillità che Listen Now è uno dei dischi più belli della nostra collezione, un album che ascoltato oggi può benissimo essere considerato un archetipo del fare musica e una dimostrazione palese di quello che un modo di produrre e registrare erano in grado di realizzare all’epoca nel Regno Unito.

Il multistilismo tipico della formazione, tocchi strumentali attinti a una lunga frequentazione, un cast di prim’ordine, un suono che è appropriatamente commovente o raggelante, una perfetta disposizione nello stereo (come per molta della musica di cui qui scriviamo, il tecnico è Rhett Davies).

L’atmosfera prevalente è sinistra, cupa – sotto quei Grey Skies di cui di lì a poco parleranno Stewart & Gaskin – per degli scenari che sono orwelliani fin dalla copertina. In questo senso, l’album è molto più "del suo tempo" di tanti altri che ne condividono l’anno di uscita.

Fummo quindi a dir poco sconcertati nel leggere recensioni tirate via che tendevano a relegare quest’album tra i ferrivecchi. Mai secondi a nessuno, recensori italiani parlarono di "rock socialdemocratico", additando come figure ridicole quei Godley & Creme che ben figuravano su Listen Now. Cos’era successo?

Solitamente in questi casi si dà la colpa al punk e ai tempi che cambiano. La triste realtà è che di fatto era andato via Eno, e che molti colleghi si interessavano agli 801 solo e fintanto che c’era Eno. Andato via lui, si voltava pagina.

(Chi scrive non sa ovviamente nulla di contratti e accordi. L’impressione è che il "lavoro fatto in comune" andasse sotto la sigla 801, un album in cui Eno compare poco e non vocalmente fosse da accreditare a Manzanera/801, e uno in cui Eno non compare al solo Manzanera, ma potremmo benissimo essere in errore.)

Le nostre idee su Brian Eno sono destinate a rimanere fuori da questo articolo, non foss’altro che per motivi di spazio. Ma va detto che Brian Eno aveva capito molto prima di altri cos’era necessario per rimanere a galla. Un abbigliamento che avrebbe fatto invidia a Wanda Osiris gli aveva consentito di farsi notare su un palco condiviso con musicisti decisamente più alti. Le foto fatte subito dopo lo shampoo con ancora in testa i "becchi d’oca" – se la memoria ci assiste: Ciao 2001, fotoservizio di Maria Laura Giulietti – e qualche intervista "osé" avevano fatto il resto. Chi non c’era non può capire – troppo tempo è passato – quanto potente fosse la deflagrazione della bomba "sono un non-musicista". Salutati gli 801, Eno andò a collaborare con David Bowie, su Low. Cosa potevano offrire alla stampa gli 801?

Listen Now è un album sul quale Bill MacCormick e il fratello maggiore Ian – ai tempi noto come giornalista del New Musical Express con il nome di Ian MacDonald, e successivamente quale autore del bellissimo libro intitolato Revolution In The Head: The Beatles’ Records And The Sixties – tessono una narrazione socio-politica lucida e consapevole.

L’iniziale Listen Now presenta un quadro sinistro sotto un arrangiamento che ricorda i Temptations prodotti da Norman Whitfield. Basso funky, ottime voci, l’ex King Crimson Mel Collins perfetto all’assolo di sax soprano e a impersonare, tutto da solo, la big band che porta il brano a conclusione.

Flight 19 è un brano spigliato, un po’ Beatles/10cc, con Simon Phillips alla batteria, un 45 di grande successo in un mondo alternativo.

Island è per chi scrive l’unico passo falso dell’album, uno strumentale – Phil Manzanera ci perdoni – che all’epoca ci somigliava alla musica di un’ipotetica pubblicità della Coca Cola.

Law And Order è un altro momento teso, con bell’assolo di chitarra centrale e chiusa entusiasmante.

Bellissimo momento strumentale di incisiva brevità, Que? cede presto il passo a

City Of Light, brano che a dispetto del titolo sembra immerso in una nebbia che cela mille insidie. Grande lavoro vocale, eccellente chitarra "a strappi" di Manzanera.

Initial Speed è uno strumentale forse fuori posto, ma di eccellente qualità. Simon Phillips alla batteria, Francis Monkman alle tastiere, il basso elettrico di Bill MacCormick, decisive le "voci celestiali" dell’ex 10cc Kevin Godley.

Momento triste, ma a suo modo un cambio d’atmosfera, Postcard Love vede un’iniziale chitarra in assolvenza al limite del feedback, l’ottimo pianoforte di Eddie Jobson, una performance vocale misurata, un Simon Phillips essenziale.

Questo è un buon momento per lodare le parti vocali e il suono della batteria su quest’album. Le prime sono prevalentemente affidate a Simon Ainley, che andrà in tour – anche alla chitarra ritmica – come parte della formazione in formato ridotto che porterà in giro l’album per poche date. Da sola o accoppiata a quella di Bill MacCormick, la voce di Ainley contribuisce a dare all’album un’aria "British" che rende a perfezione la malinconia delle situazioni narrate.

La batteria è affidata a due ottimi musicisti. Se Dave Mattacks suona al suo solito, Simon Phillips è la rivelazione. Che messo il turbo all’epoca avesse pochi rivali lo sapevamo già. Quello che stupisce è l’appropriatezza e la misura dimostrate nei brani cantati, una qualità che la parte tecnica dell’album valorizza con una dinamica spaventosa, laddove i passaggi sui tom sembrano uscire fuori dalle casse.

In chiusura, That Falling Feeling, con testo di Ian MacDonald, è il momento agghiacciante destinato a lasciare l’ascoltatore in sospeso. Momento un po’ floydiano, anche nell’assolo di chitarra, il brano vive del contrasto tra la batteria – i tom "grossi", il rullante perfetto, i piatti in phasing – e le voci, che sembrano muoversi dentro una coltre di nebbia. Tutt’altro che "paradisiache", le "heavenly voices" di Kevin Godley portano l’ascoltatore alle soglie di… qualcosa.

Pubblicato l’anno successivo a nome Phil Manzanera, K-Scope si rivela subito album molto diverso dal predecessore. Cambiano studio e tecnici – siamo nello studio personale di Chris Squire, il bassista degli Yes – e cambia il modo di impostare la ritmica, qui con batteria "dentro" a ingabbiare una tensione che rimane udibile ma "implicita".

Il cambiamento più importante è però quello vocale, con Tim Finn (e il fratello Neal, poi Crowded House) degli Split Enz (formazione prodotta da Manzanera) a rimpiazzare Ainley. Le interpretazioni di Finn danno ai brani un’aria "instabile" che sposta di molto l’atmosfera complessiva, anche se la facciata due, con la voce di Bill MacCormick protagonista, riporta l’ascoltatore verso i climi di Listen Now.

Album più omogeneo, dai momenti strumentali meglio integrati nel tutto, K-Scope risulta più cupo e nevrotico del predecessore anche per via di un suono poco arioso. Se ben ricordiamo, nel corso di una vecchia intervista Bill MacCormick disse di un missaggio fatto di fretta allo scopo di anticipare l’uscita dell’album, ma ovviamente non sappiamo se questo sia il motivo alla base di un suono tanto diverso.

Melodia tipicamente alla Manzanera per la strumentale K-Scope, in apertura. Simon Phillips superlativo, ottime tastiere, un pimpante Mel Collins ai sassofoni.

Firmata da Ian MacCormick, Remote Control è una facciata di un 45 giri "punk" con bella spinta batteristica di Paul Thompson.

Cuban Crisis è un racconto sospeso tra l’amaro e l’ironico – se ben capiamo, l’amata dal narratore fa fallire la rivoluzione cubana dando consigli "sbagliati" a Fidel Castro – che vive di sottili tensioni batteristiche. Ottimo pianoforte, basso e chitarra "reggae", bella chiusa solista di Manzanera.

"Troppe droghe in discoteca" potrebbe essere un diverso titolo per Hot Spot. Impasti vocali perfetti – ci sono anche Kevin Godley & Lol Creme – e una chiusa con solista assertiva da parte di Manzanera.

A chiudere la facciata, Numbers con John Wetton alla voce, episodio tutto sommato minore.

Ascoltiamo l’altra facciata.

Secondo brano del 45 giri "punk", Slow Motion TV ha un’aria appropriatamente nevrotica e suona "punk" come può suonarlo un brano con pianoforte funambolico e sax baritono.

Animato da belle chitarre ritmiche con eco, un basso assertivo e una batteria perfetta nell’alternare pieni e vuoti, Gone Flying ci mostra uno scenario "tossico" con perfetto apporto di sintetizzatore, "a rallentare" in chiusura.

N-Shift è un altro bel brano strumentale, con passo concitato e un eccellente Simon Phillips a sostenere un Phil Manzanera più aggressivo del solito.

Divisa in due parti – la prima con sintetizzatore, sax soprano, basso e voce narrante; la seconda tesa e ansiogena con chitarra ritmica cadenzata, basso in evidenza, accenti di grande appropriatezza divisi tra rullante e charleston/hi-hat – Walking Through Heaven’s Door è la vera chiusa dell’album, un momento altamente drammatico destinato a rimanere nella memoria.

(Per motivi a noi ignoti, la copertina del CD in nostro possesso aggiunge un John Wetton bassista assente sulla copertina dell’LP originale alla formazione di Walking Through Heaven’s Door, e notiamo che la cosa è trasmigrata su fonti online. A nostro parere, il tocco è inconfondibilmente quello di Bill MacCormick.)

Alla breve e strumentale You Are Here, composta ed eseguita in solitudine da Manzanera, il compito di portare l’album a conclusione, funzionando da "ear cleaner".

Posto che il nostro sguardo dell’epoca era tutt’altro che onnicomprensivo, diremmo che se le recensioni di Listen Now erano state all’insegna del parziale disinteresse, quelle di K-Scope furono all’insegna della sufficienza (nel senso snob). Altra musica poteva cautamente essere accolta, ma i nomi dovevano essere nuovi: Police, Dire Straits, Elvis Costello, Joe Jackson.

La fine è nota. I Roxy Music si riunirono per nuovi e grandi successi, Bill MacCormick andò a formare i Random Hold per poi abbandonare la musica, Simon Phillips è ancora oggi uno dei session men più apprezzati, Mel Collins è in giro con i King Crimson, qualcuno è morto.

Fatto inusuale, a coronamento di una carriera da onesto lavoratore con buoni risultati soprattutto in quei climi "sudamericani" ereditati per parte di madre, già collaboratore di Pink Floyd e David Gilmour, Manzanera ha estratto per la seconda volta un biglietto vincente.

Il popolarissimo brano No Church In The Wild, di Kanye West e Jay-Z, campiona e rallenta l’attacco del brano K-Scope. Da cui un bell’assegno, tanta nuova popolarità, e un bel rifacimento di… No Church In The Wild da affidare alla Rete.


© Beppe Colli 2021

CloudsandClocks.net | Mar. 7, 2021