
The Microscopic Septet
Manhattan Moonrise
(Cuneiform)
Chi
derivava motivi di preoccupazione dal prolungato silenzio discografico e
concertistico della formazione statunitense denominata The Microscopic Septet
può dormire sonni tranquilli: c’è finalmente un nuovo e ottimo album, con un
suono in technicolor a rendere con piena vivezza la freschezza e i colori di
belle composizioni, fantasiosi arrangiamenti e impeccabili prestazioni
strumentali.
Un
piccolo riassunto?
Pubblicati
nel 2006, i due volumi antologici di The History Of The Micros – Seven Men In
Neckties e Surrealistic Swing – avevano consentito di (ri)prendere confidenza
con la storia di questa originale formazione.
Logico a
quel punto attendere i sette alla prova di una nuova uscita discografica, e qui
spiace dire che Lobster Leaps In (2008) si era rivelato al di sotto delle
nostre aspettative. Come già da noi estesamente argomentato in sede di
recensione, il motivo era da rinvenire non in un calo di ispirazione o in una
carente tenuta strumentale ma in una qualità sonora non pienamente soddisfacente
che finiva per mascherare i fili sottili di cui è fatta questa musica (e certo
i musicisti non ci erano parsi rilassati). Con il procedere degli ascolti il
materiale veniva fuori lo stesso, rimaneva però un po’ d’amaro in bocca per
un’eccellenza non raggiunta.
Il gruppo
faceva poi centro con Friday The Thirteenth (2010), che rivisitava in modo
splendido splendide pagine di un gigante del jazz, nonché una delle influenze
chiave dell’estetica della formazione: Thelonious Monk. Un’occhiata alle note di
copertina diceva di un ricorso a un finanziamento diffuso effettuato tramite
Kickstarter e rivelava l’identità dello studio di incisione – il Systems II, a
Brooklyn – e del bravo tecnico – Jon Rosenberg – che aveva registrato, missato
e masterizzato il tutto. Una citazione per il Michiko Rehearsal Studio
testimoniava del lavoro preparatorio fatto in vista dell’incisione.
A questo
punto era logico sperare in un album dove l’eccellente cura formale di cui
aveva beneficiato l’omaggio monkiano potesse andare a vantaggio di composizioni
originali. Piace poter dire che ciò è avvenuto in quest’album, cui speriamo
possa arridere lo stesso successo che una critica entusiasta ha tributato al
suo predecessore.
Manhattan
Moonrise vede in azione quella che è ormai la formazione fissa del Microscopic Septet: Phillip Johnston, Don Davis,
Mike Hashim e Dave Sewelson rispettivamente a sax soprano, alto, tenore e
baritono, con Joel Forrester al pianoforte, Dave Hofstra al contrabbasso e
Richard Dworkin alla batteria. Come d’abitudine, Johnston e Forrester sono gli
autori di tutte le composizioni. Ci ha un po’ stupito vedere che stavolta le
composizioni firmate da Johnston sono in numero inferiore al solito, e anche la
sua presenza strumentale – pur chiaramente avvertibile nei colori
dell’ensemble, e in più di un assolo di prevedibilmente ottima fattura – ci è
parsa inferiore al recente passato. Va comunque notato che Johnston ha prodotto
l’incisione…
… oltre
a scrivere il saggio che si affianca alle note di copertina dedicate come
d’abitudine alle composizioni: intitolato “Is The Microscopic Septet Still
Necessary?”, lo scritto di Johnston naviga le acque perigliose dell’attuale
mercato discografico e concertistico con uno sguardo acuto che non preclude
all’autore una dignitosa asciuttezza.
Come
d’abitudine, la musica contenuta in quest’album indossa con scioltezza un
multistilismo agile e mai "post-moderno". Abbondano le influenze, da
Mingus a Monk, ma qui ognuno dovrà far da sé: se l’ultimo brano in programma ci
ha ricordato la Carla Bley di lavori quali I Hate To Sing, le note di copertina
dicono Beethoven!
Bellissimo
il giuoco strumentale, con la batteria di Dworkin musicalmente disposta nello
stereo. E’ un particolare di grande importanza al quale invitiamo a prestare la
massima attenzione: se è vero che nei Microscopic Septet i fiati – e tutti gli strumenti – sono perfettamente in grado di vivere di swing "implicito", è altrettanto vero che il gioco
sottile di piatti e tamburi – tutta da gustare la perfetta accordatura dei
secondi – fornisce alla musica del gruppo una marcia in più. Lo stesso vale
ovviamente, in termini diversi, per il contrabbasso di Hofstra, elegantissimo
come d’abitudine.
Posta in
apertura, la When You Get In Over Your Head di Johnston si riallaccia
idealmente al CD monkiano. "This is what I think of as a tune ‘in the
Micros style’", scrive il suo autore. Grande varietà in soli 3’ 50".
Uscita "swing" del tenore, intermezzo di sax alto, piano, un pedale
"sussurrato" dei fiati sul canale destro, uscita di batteria e breve
"assolo" del contrabbasso.
No Time è
una quasi "bossa" e un "puzzle in time". Bei colori
dell’ensemble, assolo di pianoforte con ritmi!, assolo di sax tenore,
swingante!, e un bell’alternarsi di piano e tenore.
Con i
suoi 8′ 15", Manhattan Moonrise è l’unico momento esteso dell’album.
Swing! Ottimo lavoro dell’ensemble. Chiarore del sax soprano. Una seconda
sezione dal sapore "minimalista". Un assolo di contrabbasso (con echi
di Wilbur Ware?), con i fiati e il piano a occhieggiare. Bell’assolo di sax
tenore, con i fiati dietro. Sezione swing che porta all’assolo di sax baritono,
poi sax soprano e una "macedonia" di sax. Chiusa vocale: "Good
night!", e un brano che prevedibilmente farà faville in concerto.
Obeying
The Chemicals ci ha ricordato un po’ la Funky AECO dell’Art Ensemble Of Chicago
(da The Third Decade). Come da note di copertina, una miscela di Funk +
boogie-woogie. Sax alto al proscenio, bell’unisono di contrabbasso e sax
baritono, intermezzo di piano e ritmi, sax soprano, "tutti". Chiude
il tema per sax alto.
A
Snapshot Of The Soul è palesemente "monkiano". In evidenza il sax
soprano di Johnston, che qui inevitabilmente ricorda Steve Lacy. Esce il sax
tenore in assolo, swing!, sax soprano e pianoforte in dialogo. Gran bel tema.
Star Turn
è un brano dall’atmosfera mingusiana, con tema e assolo appannaggio del sax
alto. A 2′ 01" viene citato l’ostinato di piano di Horace Parlan che
appare a 2′ ca. su Wednesday Night Prayer Meeting di Charles Mingus nella
versione da Blues & Roots. Un brano semplice ma molto bello.
Hang It
On A Line vede il sax baritono protagonista assoluto. Abbondano le citazioni,
tra le quali ci è parso di riconoscere Hey Joe nella versione di Jimi Hendrix
(a 3′ 24"), prima dal contrabbasso, poi dall’ensemble; e un’aria da A Day
In The Life (a 4′ 54"); c’è anche qualcosa da Jimmy Smith? Il brano ha un
bel tema R&B/Calypso affidato alla sezione fiati e al sax baritono. Bel
fraseggio ascendente della sezione fiati più baritono.
Let’s
Coolerate One ha un riff! swing! tipico! Assolo di sax baritono con ottima
ritmica, poi assolo di sax tenore. Piano. Poi baritono e tenore impegnati in un
dialogo che diremmo di stampo mingusiano.
Suspended
Animation è swing, "cool", un "relaxed mid-tempo". Sax
baritono più ritmica e piano. Tema, di nuovo, con sax soprano e alto. Da tenere
d’occhio la batteria: bel rim-shot, poi un hi-hat semi-aperto in appoggio al
piano, poi un esuberante piatto ride. Assolo di sax baritono, poi una
transizione di contrabbasso ci riporta all’ensemble.
Blue ha
un bel tema lirico per pianoforte, poi una "group improvisation" di
cui non è arduo percepire la forma. Stacco, e bel tema lirico per fiati, con il
sax soprano in evidenza.
You Got That
Right è la vera chiusa, con echi di Monk e Herbie Nichols. Figura per sax
baritono. Fiati, contrabbasso, piatti. Delizioso assolo di sax soprano in stile
"Dixieland". Da gustare la bella sequenza melodica ripetuta con i
quattro sax a succedersi in ordine discendente.
In
chiusura, Occupy Your Life apre con un tema "classico", poi
"bossa" per sax baritono, poi alto e tenore. Episodio per piano,
tutti, baritono. Alto. Poi ensemble vocale.
Resta
ovviamente il solito divario tra lo spessore della musica del gruppo, niente
affatto difficile e che diremmo anzi molto accattivante, e quello che il
"consumatore medio" è oggi avvezzo a frequentare. In tempi di tirchio
streaming, cosa dire? Forse che Manhattan Moonrise è un album in grado di
rinfrescarci in estate e riscaldarci in inverno… due al prezzo di uno!
Beppe Colli
© Beppe Colli 2014
CloudsandClocks.net
| July 29, 2014