Han-earl Park/Catherine Sikora/Nick Didkovsky/Josh Sinton
anomic aphasia
(Slam)
E’ stato all’incirca quattro anni fa che – nel solito modo
casuale: un CD da noi trovato inaspettatamente nella cassetta delle lettere –
ci è capitato di ascoltare per la prima volta il chitarrista Han-earl Park. E
se è vero che accanto allo stesso Park i titolari del lavoro sembravano essere
i soli Bruce Coates e Franziska Schroeder, un più attento esame rendeva palese
il fatto che, oltre a essere la sigla che dava il titolo all’album, "io
0.0.1 beta++" era anche il nome del quarto autore di quella musica: un
"automa musicale" qui improvvisatore a pieno titolo in relazione con
i tre "umani". Cosa che, fatti salvi i precedenti – non peccheremo certo
di originalità citando il trombonista George Lewis e il suo programma Voyager –
poneva tutta una serie di intelligenti questioni. Va comunque detto che il
lavoro risultava interessante e di piacevole ascolto "a prescindere",
e che una sensazione di buona qualità permaneva anche dopo che le più varie
curiosità intellettuali erano state oggetto di indagine.
Anche stavolta il CD di cui andiamo a dire è apparso
inaspettatamente nella nostra cassetta delle lettere. Stante il nostro
retroterra di studi sociologici, ci è parso di poter dare un significato
preciso all’espressione "anomic aphasia", ma una prudente ricerca nel
vocabolario ci ha rivelato che a differenza di parole quali "anomie"
e "anomy", facenti parte del panorama delle scienze sociali, l’accezione
medica di "anomia" designa "a form of aphasia in which the
patient is unable to recall the names of everyday objects". Il lettore
eventualmente interessato potrà indagare i diversi modi in cui la definizione
citata e il questionario che appare nel libretto del CD – una serie di domande
che indaga in forma lieve questioni importanti – si rapportano alla pratica
dell’improvvisazione.
Se nel lavoro precedente l’unico nome conosciuto era per
noi quello di Bruce Coates, stavolta il solo musicista con il quale abbiamo
confidenza è Nick Didkovsky, soprattutto ma non esclusivamente per il suo
lavoro con la formazione statunitense dei Doctor Nerve. E però, caso strano, la
prima volta che ci imbattemmo in Didkovsky fu in un contesto improvvisativo: un
duo con Fred Frith nell’assolata aula dove nel 1987 si tenevano gli incontri
pomeridiani del festival di ispirazione Rock in Opposition che si teneva a St.
Remy de Provence. Stavolta i nomi a noi ignoti sono quelli di Catherine Sikora
e Josh Sinton, e qui – a prescindere da ciò che la Rete è in grado di mostrarci
– le notevoli capacità tecniche evidenti in questo lavoro ci dicono di
musicisti di ottima levatura. Cosa che ovviamente non esaurisce l’essere
musicisti, altrimenti il povero automata "io 0.0.1 beta++"
risulterebbe essere sconfitto in partenza. Vanno infatti considerati i processi
decisionali.
L’album presenta due formazioni. Il trio che viene
indicato dalla sigla Eris 136199 vede le chitarre di Han-earl Park e di Nick
Didkovsky affiancate – o per meglio dire, sopraffatte: ma non anticipiamo – dai
sassofoni di Catherine Sikora. C’è poi il trio che vede Park e Sikora
affiancati dal sassofonista e clarinettista Josh Sinton, trio che in due
occasioni pone in azione delle "tactical macros" ideate dallo stesso
Park che vanno sotto la sigla di METIS 9. Avevamo deciso di tradurre
"macro" come "meta-norma", ma l’infortunio evitato a
proposito di "anomic" ci ha spinto a ricorrere one more time al
vocabolario, che definisce la macro "a single instruction that expands
automatically into a set of instructions to perform a particular task".
Elementare, Watson! E in effetti la transizione da Monopod, il lungo brano
improvvisato che apre il CD, a Pleonasm, brano che fa uso di "tactical
macros", corre parallela a una transizione verso regole condivise che vengono
correttamente interpretate dai tre musicisti.
Ma come suona? Qui le cose si complicano – e si
chiariscono.
Non sappiamo se in virtù di un approccio stilistico o di
un’abitudine a suonare in solo, Catherine Sikora – che indubbiamente possiede
un gran bel paio di polmoni – tende a occupare una enorme quantità di spazio,
cosa che a nostro avviso non va a giovamento della musica qui intesa come
creazione collettiva. Chitarrista timbricamente "rock", Nick
Didkovsky esce bene dal confronto, non così Han-earl Park, che nella precedente
occasione ci capitò semi-scherzosamente di definire "un incrocio tra Joe
Pass e Derek Bailey". E’ vero che musicisti quali Anthony Braxton e Roscoe
Mitchell a volte suonano moltissimo, ma qui l’espressione che conta è "a
volte". E anche la grammatica esecutiva della Sikora ci pare più simile a
quella di un "improvvisatore torrenziale" quale David Murray – nome
non esattamente tra i nostri preferiti – che a quella di creatori di strutture
"in the moment" quali quelli da noi prima menzionati.
Ciò detto, vediamo comunque lestamente il dettaglio.
Con i suoi ventisette minuti abbondanti, Monopod è il
brano di apertura. Bel contrasto tra l’approccio più "rock" di
Didkovsky e quello maggiormente percussivo di Park – qui a volte i due sembrano
idealmente riallacciarsi ai due volumi di Guitar Solos della seconda metà degli
anni settanta. Il sax tenore sembra invece muoversi in una dimensione
"indipendente". Bella "finestra" chitarristica da 13′ a 15′
ca., quando il sax soprano sostituisce il tenore e si ritaglia un episodio in
solitudine. Si ascolti il modo estremamente pertinente in cui a 17′ 40"
ca. Didkovsky entra a completare il disegno sassofonistico con una nervosa
"chitarra-violino". A partire da 21′ ca. c’è un bell’intervento percussivo
di Han-earl Park, e un nuovo episodio "per chitarre" che vede poi a
24′ 45" il soprano tirare fuori un’aria dal sapore folklorico che ci ha
curiosamente ricordato quanto Karl Jenkins componeva ed eseguiva nei primi
Nucleus. Bel Fripp di Didkovsky!
Con i sui diciassette minuti, Pleonasm è il brano più
lungo del trio con Josh Sinton, qui al sax baritono. Come già detto,
l’approccio "tactical macro" METIS 9 è qui evidente: tenore e
baritono mostrano evidenti tracce di coordinamento con efficace lavoro di
"hocketing", con una melodia "spezzata" a rimandare a
Braxton e a Mitchell e strappi di chitarra all’unisono. C’è anche un po’ del
Rova Saxophone Quartet, ma con meno concisione. A partire da 10′ le note
sassofonistiche sembrano farsi più parche a tutto vantaggio della chitarra, c’è
un tema a 14′ 30", al quale fa seguito un episodio per solo sax tenore.
Brano di durata decisamente più contenuta, anche Flying
Rods va sotto l’etichetta di METIS 9. Schizzo tematico da parte del tenore, un
po’ di chitarra, un po’ di clarinetto basso. Questa esecuzione ci è parsa più
equilibrata della precedente, ma paga il prezzo di venire per terza. Figura
senz’altro meglio qualora ascoltata a orecchie fresche.
Di durata contenuta, Hydraphon vede il trio improvvisare
liberamente. Bella combinazione di clarinetto basso e chitarra percussiva, ma
ancora una volta il sax tenore deborda, con gli altri musicisti in un ruolo
"ricettivo". Buona chiusa dei due fiati, con brandello dal sapore
tematico.
I dieci minuti della conclusiva Stopcock ci riportano al
trio con Didkovsky, che qui apre con un bell’episodio per chitarra ritmica
sulla quale a 1′ 30" ca. entra la chitarra di Park, con apertura di
volume. A partire da 3′ ca. entra il sax tenore, in una dimensione solista che
ci ha ricordato il "Free Jazz" dei bei tempi andati (ci siamo
ritrovati a sostituire mentalmente Didkovsky e Park con Sonny Murray e Jimmy
Garrison!).
Beppe Colli
© Beppe Colli 2015
CloudsandClocks.net
| May 16, 2015